Luca è artigiano. Vive del lavoro delle sue mani. Serena Solaroli, sua moglie. Insieme hanno due bimbi piccoli, Diana e Paolo. Tutti e quattro hanno salutato, almeno temporaneamente, Trebbio di Montegridolfo, per volare in Perù, in un paesino del nord, Encañada, nascosto a 3000 metri di altezza nella regione di Cajamarca, per 18 mesi, ma il turismo non c’entra nulla.
No, la famiglia Donati sulle Ande ci è volata in missione.
“Credeteci, non è stato facile lasciare tutto: il lavoro, gli amici, i nostri genitori, le persone care… – è Luca Donati, il capofamiglia, a parlare –però vi assicuriamo che ne sta valendo la pena”.
Serena e Luca han già vissuto separatamente un anno di missione, prima di sposarsi.
Da alcuni mesi sognava di far vivere quell’esperienza ai propri figli e far respirare loro il clima della missione. Hanno colto al volo l’opportunità del progetto frutto dell’Oratorio Don Bosco, e che coinvolge le famiglie inserite nel percorso dell’Operazione Mato Grosso e dell’esperienza di Padre Daniele Badiali, sacerdote di Faenza, martire in Perù nel 1997.
“Saremo la famiglia di tutti quei ragazzi che frequentano la scuola lontani da casa” assicura ad una sola voce la coppia.
Serena e Luca durante la settimana si occupano dei ragazzi della Scuola-Collegio don Bosco: vivono con loro, gli fanno un po’ da famiglia.
Questi giovani, i più poveri di quelle terre, vengono dai monti vicini per studiare e professionalizzarsi nei laboratori. Per farlo, hanno scelto di vivere nella casa parrocchiale, lontani dai loro affetti. “A Encañada imparano un mestiere: falegnameria, mosaico, pittura, scultura o intaglio del legno. – prosegue Luca – In quei luoghi, una professione significa sopravvivenza e poter vivere una vita onesta, di lavoro, senza cadere nella spirale della criminalità”.
“Al giorno d’oggi, l’attenzione ai più deboli è fondamentale. Vogliamo insegnarlo ai nostri figli”. L’8 marzo è stata organizzata una festa a Trebbio di Montegridolfo, si è replicato a Faenza (città d’origine della coppia) con una cena di autofinanziamento.
La decisione di partire che consenso ha trovato tra i vostri amici, parenti e conoscenti?
“Spiegare le motivazioni non è sempre semplice: spesso ci chiedono se questa sia la scelta giusta anche rispetto ai nostri figli. Noi crediamo che in questa società sia necessario far vedere loro una vita un po’ più essenziale, fargli conoscere un mondo in cui non puoi permetterti di mettere al centro te stesso e i tuoi bisogni, ma sei obbligato a porre davanti a te i più poveri. Crediamo che, al giorno d’oggi, l’attenzione ai più deboli, chiunque essi siano, sia fondamentale. Per noi i più deboli sono i poveri di P. Daniele e Don Ugo De Censi (Fondatore dell’OMG, ndr) e sentiamo la necessità di incontrarli e farli conoscere ai nostri figli. Poi viviamo ovviamente anche l’aspetto vocazionale: come famiglia cristiana sentiamo che è il modo migliore per rispondere, in questo momento delle nostre vite, a Dio e alla sua chiamata.”
Sono trascorsi già quattro mesi dal vostro arrivo in Perù. Stiliamo un primo bilancio.
“Più passa il tempo e più siamo contenti della scelta intrapresa di venire in missione in mezzo ai poveri. Sì, essere qui per noi è davvero un bel regalo. Siamo qui per far vedere ai nostri figli, da vicino, che c’è un sacco di gente in tutto il mondo che sta peggio di noi, e non possiamo rimanere indifferenti. Dobbiamo fare qualcosa per aiutarli”.
I vostri gesti, il vostro servizio, per quanto prezioso, non potrà risolvere però la piaga della fame nel mondo…
“Siamo perfettamente consci che non risolviamo il problema della fame nel mondo neanche stando qui tutta la vita, ma noi vogliamo fare la nostra parte ed è quello che intendiamo trasmettere ai nostri figli. Potevamo benissimo rimanere in Italia per fare la carità. Nel nostro Paese c’è tantissima gente bisognosa, ma volevamo far capireai nostri bambini che l’unica cosa che conta per noi, in questa vita, è tenerci stretti il desiderio di arrivare un giorno in Paradiso. È una cosache non potevamo dirla solo a parole: avevamo il bisogno di dimostrarglielo con la nostra vita, controcorrente. Venire qui, dall’altra parte del mondo, solo per dire ai nostri figli che non ci importa dove siamo, se in Italia o in Perù,ma quello che conta per noi è provare a vivere una vita buona. E il modo più bello che abbiamo trovato è questo: fare la carità in mezzo ai poveri”.
Di cosa vi state occupando esattamente nella missione peruviana?
“Stiamo andando nei paesi qui intorno alla nostra parrocchia, per la preparazione dei ragazzi alla prima Comunione. Sono più di 300 bambini sparsi in più di 20 villaggi diversi, e molti non sono ancora battezzati. Il vescovo mi ha attribuito il mandato per battezzare. Ovviamente, per la confessione e la Prima Comunione verranno invece in parrocchia, qui all’Encanada. Abitano tutti a 2 o 3 ore di cammino da qui. Per il Battesimo vado io, così avranno da camminare fin qui solo per gli altri due sacramenti. Ci sono anche ragazzi catechisti (tra i 14 e i 19 anni) che ogni sabato e domenica raggiungono i vari villaggi per fare la catechesi e prepararli bene alla Comunione che faremo tra una decina di giorni. In quell’occasione, a ogni bambino regaleremo un paio di scarpe.
È la cosa di cui hanno più bisogno. Andando sempre a piedi le loro calzature sono perennemente rotte. Oppure comprano sandali fatti con i copertoni delle macchine, perché costano poco.
Durante la settimana siamo invece un po’ la famiglia per i 22 ragazzi che vivono e studiano qui nella scuola d’arte dove imparano un mestiere pratico: falegname, intagliatore di legno o mosaicista. Qui dove abitiamo anche noi”.
Com’è strutturata la scuola?
“Il bello di questa scuola è il fatto di poter garantire ai ragazzi, una volta finiti gli anni di studio, anche un’opportunità di lavoro all’interno della cooperativa della parrocchia.Così cerchiamo di dar loro un futuro dignitoso restando vicino alle loro famiglie.
Diversamente, la maggior parte delle persone di qui, si sposta in cerca di fortuna andando verso la capitale, Lima. Tornano poi dalla loro famiglia una volta l’anno. Ora, con i ragazzi più grandi che il fine settimana frequentano il nostro oratorio, stiamo rifacendo la casa a due anziani che vivono con la loro figlia e una nipotina di appena un anno. Sono venuti a chiederci aiuto dopo aver dormito per strada 3 notti a fila perché non avevano più i soldi per pagare l’affitto e per questo erano stati mandati fuori di casa.
Nel nostro piccolo queste sono le cose che stiamo facendo. Ci prendiamo cura dei ragazzi ospiti della scuola e, con i nostri figli, cerchiamo di vivere la carità, dando un aiuto concreto alla nostra gente in difficoltà che tutti i giorni continua a bussare alla nostra porta chiedendo alimenti, lavoro e, addirittura, … la casa.
A tutto questo una risposta si riesce a dare anche grazie a tutti i riminesi, i parrocchiani di Montegridolfo (e i faentini) che ci hanno aiutato concretamente prima della nostra partenza”.