Quattro campanili che dal 1998 suonano all’unisono; quattro parrocchie che da quella data costituiscono un’unica parrocchia: quella di S. Giovanni Battista di Monte Colombo, con sede in Croce.
Due parroci in “solido” connubio, che rappresentano il “massimo” di tutta la diocesi: don Massimo Zonzini, parroco dal 2001 e don Massimo Sarti co-parroco dal 2008. Al loro fianco svolge il suo servizio diaconale Marcello Ugolini.
“Unica parrocchia – precisa don Massimo Zonzini – non significa azzeramento della storia e delle tradizioni delle singole comunità, ma impegno per tutti, preti e fedeli, a costruire con sempre maggior solerzia l’unica Chiesa di Dio, nella comunione e nella condivisione dell’esperienza di fede”.
Rimane il fatto però che avete sempre quattro comunità e quattro chiese su un vasto territorio; è difficile che tutti frequentino la stessa chiesa …
“Non è questo che viene chiesto alla gente. Infatti in ogni comunità si celebra la Messa nelle domeniche e nei giorni di festa, mentre nei giorni feriali una volta alla settimana a turno nelle varie chiese. Nella chiesina delle Suore di Maria Bambina a San Savino invece celebriamo tutti i giorni”.
La vostra parrocchia è costituita territorialmente da Monte Colombo, capoluogo, e dalle frazioni di Taverna, Croce, San Savino e Osteria Nuova. Indicativamente come è distribuita la popolazione?
“Prima di tutto voglio chiarire che Osteria Nuova è una frazione del Comune, ma non ha una sua chiesa propria: ha sempre fatto parte della parrocchia di Croce. Riguardo all’insieme della popolazione, oggi contiamo circa 3000 abitanti: un aumento di più di 1000 unità negli ultimi 10 anni. L’incremento maggiore si è avuto a San Savino e a Osteria Nuova, per il loro vistoso sviluppo urbanistico… E le case non sono state ancora occupate tutte. Con l’aumentare della popolazione non sono aumentate però le persone che partecipano alle funzioni religiose, anzi dobbiamo notare un ulteriore calo durante la stagione estiva”.
Dallo sguardo generale a qualche osservazione più particolareggiata. Presentateci per sommi capi le quattro comunità.
“Partiamo da San Savino. Questa comunità è quella che risente di più del grande incremento demografico. Sono state costruite molte case e ciò ha comportato un forte incremento della popolazione con un insufficiente adeguamento delle infrastrutture. Si tratta soprattutto di famiglie giovani, che non fanno riferimento alla nostra realtà e vivono fuori la maggioranza del loro tempo, sia per il lavoro che per la organizzazione del loro tempo libero.
La realtà di Croce (nella foto), se si esclude l’appendice di Osteria Nuova, ha assorbito con maggiore facilità l’incremento demografico degli ultimi anni, sia perché avvenuto più lentamente, sia per la configurazione più estesa del territorio che ha lasciato maggiori spazi vitali. Nel territorio di Croce risiede anche la comunità del Lago.
La comunità di Taverna è caratterizzata da una forte “identità sociale”, che non viene indebolita da conflitti e tensioni tuttavia presenti. Soprattutto per la sua collocazione geografica non è facile alla gente di Taverna sentirsi parte integrante della parrocchia; vi è stata però una valida collaborazione a livello di alcuni operatori pastorali e le famiglie hanno accettato, non senza qualche fatica, che si tenesse il catechismo a Croce.
Monte Colombo infine è la comunità col più piccolo numero di abitanti e questo non favorisce la partecipazione o l’animazione di iniziative proprie, al di fuori della messa domenicale. Si tratta però di una realtà tranquilla e sostanzialmente accogliente”.
Monte Colombo è la comunità più piccola, ma mi pare che come centro storico e per nuove strutture si presti ad alcune manifestazioni che possono coinvolgere l’intera parrocchia.
“In effetti è così. Qui convochiamo tutti i parrocchiani il venerdì santo per la via crucis, ambientata nel castello. Lo stesso luogo si presta meravigliosamente per il presepe vivente a Natale e in estate l’ampio anfiteatro accoglie gli spettacoli preparati dai ragazzi dell’oratorio don Bosco. Insomma, nel suo piccolo, in questi momenti riesce a radunare tutta la parrocchia e a dimostrare la sua generosa accoglienza”.
Mi dicevate che alla domenica celebrate messa in tutte e quattro le comunità. Ma questo non crea dispersione e poco senso comunitario? Se la messa è il momento fondante della comunione non dovrebbe essere unica per tutti?
“Penso che, come nelle grandi parrocchie ci sono più messe per favorire la partecipazione di tutti, senza per ciò frazionare la parrocchia, così anche da noi: le messe domenicali nelle varie chiese consentono a tutti di parteciparvi, soprattutto agli anziani che non potrebbero spostarsi facilmente per andare nella chiesa parrocchiale. È però vero che diamo una maggior enfasi alla messa delle 11,15, che celebriamo alternativamente, ogni tre mesi, nelle chiese di Croce e di San Savino, essendo queste le più capienti. A questa messa partecipano i bambini del catechismo, i ministri col diacono, il coro per l’animazione dei canti… Insomma è, quella che si dice, una messa solenne.
Oltre a questo ci sono anche celebrazioni particolari che vedono l’afflusso in uno stesso luogo di tutte le comunità. Si tratta delle feste delle singole chiese, del Corpus Domini, della benedizione e processione delle Palme, della celebrazione dei Battesimi, delle Cresime e delle prime Comunioni … e così via. Se da una parte non vogliamo far mancare a nessuno la messa domenicale, dall’altra riusciamo a offrire momenti di comunione che ci fanno sentire una sola grande famiglia”.
Abbiamo sentito parlare della Casa “Madre del Perdono” e abbiamo visto anche suggestive immagini in televisione. In che rapporto è con la parrocchia?
“Da tre anni la comunità Papa Giovanni XXIII ha istituito a Taverna (Via Chitarrara) la Casa Madre del perdono. Si tratta di una esperienza nuova, che ha aperto la porta al mondo della detenzione, al fine di rieducare i carcerati alla vita sociale e al rispetto delle regole. Tutto ciò attraverso un percorso che va oltre le sbarre e si apre alla comunità esterna affinché essa stessa si faccia carico degli errori degli altri, in una prospettiva di carità, di fiducia e di sostegno, senza togliere la certezza della pena.
La presenza di questa comunità carceraria è occasione e provocazione per interrogarci e andare al fondo del nostro essere cristiani e valutare quanto siamo capaci di amare e di perdonare. Intorno alla Casa Madre del perdono si svolgono iniziative e attività a carattere formativo e religioso che coinvolgono, oltre ai volontari che regolarmente frequentano la casa, anche diversi parrocchiani e gruppi di giovani provenienti da varie regioni. Ogni primo e terzo martedì del mese c’è la Messa, aperta a tutti coloro che desiderano parteciparvi, e in alcuni periodi forti dell’anno liturgico, la casa diventa luogo privilegiato per la celebrazione della penitenza”.
Anche a San Savino, se non sbaglio, c’è una realtà di accoglienza per disabili mentali…
“Sì, è la Comunità protetta Le Radici; da molti anni ormai è presente a San Savino questa significativa realtà volta ad aiutare con strumenti educativo/riabilitativi un gruppo di malati psichici. Naturalmente, trattandosi di una comunità protetta ha bisogno dei suoi tecnici e di una assistenza professionale; ciò non toglie che anche il volontariato possa dare il suo buon apporto di socializzazione e di relazioni umane. Infatti sono buone le relazioni con la popolazione di San Savino che fornisce un ambito accogliente e aperto. Alcune persone collaborano attivamente all’allestimento del Presepio intorno alle mura del castello ed ad una piccola Festa di fine estate”.
Per concludere, allarghiamo un po’ l’orizzonte: parliamo di collaborazione e di pastorale al di là del proprio confine parrocchiale.
“Al momento questo discorso vale soprattutto per la pastorale giovanile, con la sua Segreteria di Vicariato e per alcune collaborazioni con Sant’Andrea in Besanigo per quanto riguarda l’Oratorio coi bambini delle elementari. Ma c’è l’incipiente esperienza di Coriano che sarà sicuramente di stimolo e apripista.
In base all’esperienza fatta negli anni scorsi ed alle aspettative future, ci pare di poter individuare alcuni punti importanti per valutare e favorire l’efficacia di questo modo di lavorare. Si tratta di una realtà nuova e quindi soggetta ad ulteriore approfondimento e verifica.
Ciò comporta da parte dei sacerdoti, l’acquisizione di una profonda spiritualità di comunione. Si tratta di un modo nuovo e per così dire inedito di vivere la spiritualità sacerdotale e diocesana. Ciò coinvolge profondamente anche le comunità e gli operatori pastorali.
Il presbiterio, il Consiglio Pastorale Parrocchiale e la comunione col Vescovo devono essere gli ambiti di riferimento privilegiato in cui i sacerdoti e i fedeli operano il discernimento pastorale e individuano le piste di cammino dell’intera comunità diocesana e delle singole comunità parrocchiali”.
L’orizzonte del futuro è sempre pieno di promesse. La loro realizzazione sarà frutto di impegno radicato anche sulle difficoltà del presente.
Egidio Brigliadori