Ci sono emblemi vegetali e animali disseminati nelle opere dei maestri emiliano-romagnoli tra il XIII e il XV secolo, alcune delle quali molto note a Rimini, come la Madonna della Pera di Paolo Veneziano e la Crocifissione di Bitino fino a giungere alla Madonna di Roncofreddo. Un excursus sulle varie forme di alberi, frutti e animali presenti nella pittura di una terra è quello proposto da Alessandro Giovanardi (nella foto), nella lezione dal titolo “Il giardino mistico. Simboli arcani nel gotico emiliano-romagnolo”, l’incontro che ha aperto il terzo ciclo di conferenze “I Maestri del Tempo”. Si tratta di una serie di undici incontri promossi dalla Fondazione Carim dedicati ai rapporti che Rimini ha intessuto con l’Europa e l’Oriente dal Medioevo al Novecento.
Ad inaugurare il viaggio intellettuale 2013 è stato proprio lo storico e critico dell’arte, nonché responsabile dell’Ufficio Cultura della Fondazione Carim e curatore dell’intero ciclo di incontri, Alessandro Giovanardi. Il riminese ha offerto una riflessione sugli arcani del gotico disseminati negli emblemi vegetali e animali dei maestri emiliano-romagnoli tra il XIII e il XV secolo.
In realtà Giovanardi, per iniziare la sua lezione, prende le mosse da un quadro del XVII di Guido Reni, San Giuseppe con il Bambino. Si tratta di un dipinto in cui a San Giuseppe, figura in genere non centrale, è affidata una devozione che non gli appartiene: sostituisce la Madonna tenendo sulle ginocchia il piccolo Gesù, che ha in mano una mela. Ma perché proprio una mela? “La mela ricorda che il Cristo è fatto di carne e che quindi ha bisogno di essere nutrito, ma allo stesso tempo è anche il frutto dell’Albero della Vita, che Gesù offre a Giuseppe. Inoltre la mela è il frutto del peccato, di cui il figlio di Dio si fa carico” spiega Giovanardi.
La mela, quindi, racchiude una molteciplità di significati, come l’albero da cui viene colta. Innumerevoli, infatti, sono le rappresentazioni dell’Albero della Vita o della Conoscenza nei maestri romagnoli del XIV secolo: Pietro da Rimini, Francesco da Rimini, Giovanni Baronzio dipingono la passione di Cristo, ma nelle loro raffigurazioni la croce cessa di essere esclusivamente strumento di tortura per diventare Arbor Vitae. Si tratta di una forma simbolica molto antica, un archètipo che prima del cristianesimo aveva già assunto un significato universale: rappresenta l’unione del cielo, attraverso i rami, con la terra, in cui affondano le radici, congiungendo vita e morte. In un anonimo pittore trecentesco la croce è un vero e proprio tronco su cui gronda il sangue di Cristo. Pietro da Rimini dipinge la croce non come un legno levigato, ma simile a un ramo. Una variazione della rappresentazione dell’Albero della Vita è offerta da Simone dei Crocifissi, che raffigura una Vergine addormentata, dal cui ventre cresce un albero. Accanto alla Vergine, una donna legge una preghiera dedicata al fatto che la Madonna sogna la morte del figlio. E infatti l’albero che cresce dal corpo della Vergine ha sulla sua estremità il nido di un pellicano, altro simbolo cristiano che generalmente si trova proprio sopra la croce di Cristo. Quella di Simone dei Crocifissi non è un unicum: esistono numerose rappresentazioni orientali di divinità addormentate da cui crescono alberi. L’Arbor Vitae, infatti, diventa elemento simbolico anche nella tradizione musulmana, buddista e persiana.
Dall’albero si coglie il frutto, si coglie la pera. Il Maestro di Castrocaro e Paolo Veneziano sono soltanto due tra gli autori che dipingono il Cristo bambino mentre riceve dalla madre una pera: “La pera ha una forma che ricorda la generosità del ventre femminile, è il frutto della vita. La madre di Dio ha cambiato il frutto da frutto del peccato a frutto della vita eterna” prosegue Giovanardi. In alcuni dipinti Gesù bambino viene raffigurato mentre tiene in mano una pera, simbolo della vita, mentre abbandonata ai suoi piedi c’è una mela, simbolo del peccato.
In un’altra tradizione pittorica, la Madonna offre non pere ma rose rosse: la rosa è l’elemento del giardino più bello e completo, è il fiore della bellezza, ma anche del sacrificio e il rosso ricorda il sangue del martirio.
Altrettanto frequenti sono i simbolismi legati al mondo animale. Tra gli esempi più consueti c’è il pellicano, così spesso rappresentato in cima alla croce perché simboleggia Cristo che dona il proprio corpo come cibo e il proprio sangue come bevanda durante l’ultima cena. La ragione è legata ad un’antica leggenda secondo la quale questo uccello nutriva i suoi piccoli con la propria carne e il proprio sangue. Nella Madonna di Roncofreddo, datata 1430, il Cristo bambino ha in mano una rondine, simbolo della primavera e quindi della resurrezione. A volte, invece, Gesù è rappresentato con un cardellino, l’uccello che lavora nei cardi, piante spinose, come irta di spine è la corona che sarà calcata al Cristo sulla fronte nel momento del sacrificio.
Genny Bronzetti