Si chiama Centro Italia Cina. È nato a Savignano e la sua sede si trova all’interno dei locali dell’istituto “don Baronio”. Il progetto è scaturito dall’idea del parroco della collegiata di Santa Lucia, don Pierpaolo Conti, e dall’esperienza dei fratelli della Piccola Famiglia dell’Assunta di Monte Tauro, da lungo tempo dediti allo studio del fenomeno dell’immigrazione e all’accoglienza degli stranieri presenti sul territorio. Il Centro rappresenta oggi per i bambini e i giovani cinesi un importante luogo di socializzazione, in cui imparare l’italiano e continuare ad approfondire lo studio della propria lingua e cultura d’origine.
Abbiamo fatto visita al centro e incontrato Maria Chiara, una delle sorelle della Comunità di Monte Tauro che gestisce il progetto.
Maria Chiara, quando è iniziata di fatto la vostra storia?
“In un campeggio estivo nel 2005 in montagna, in una casa parrocchiale sopra San Piero in Bagno. In quell’occasione riuscimmo a portare con noi dieci bambini cinesi. Quella è stata la prima esperienza condivisa insieme a loro. Nel novembre dello stesso anno, abbiamo aperto il Centro. Alla proposta hanno aderito da subito quaranta tra bambini e adolescenti cinesi. I loro genitori, occupati per la maggior parte della giornata, avevano necessità di una struttura che desse assistenza e sostegno didattico pomeridiano ai loro figli”.
Perché avete scelto di dedicare il Centro unicamente ai giovani cinesi?
“L’immigrazione cinese ha delle caratteristiche singolari, del tutto differenti rispetto a quelle di altre etnie. Mentre gli immigrati dall’Est, abbagliati dalle immagini illusorie della pubblicità televisiva, tendono a vedere nell’Italia una meta desiderata di arrivo, per i cinesi non è così. Soprattutto per i bambini. Essi si sentono costretti a seguire i genitori in un paese del tutto estraneo alla loro cultura. Abbiamo così scelto di creare una casa Cina, un posto in cui i bambini si sentissero a casa e non stranieri. Molti di essi, al momento dell’arrivo, manifestano un duplice blocco: da una parte vivono il trasferimento in Italia come un’imposizione causata dall’attività lavorativa dei genitori, dall’altra vi è l’impatto con una forte diversità linguistica. La lingua cinese ha un proprio ceppo, del tutto differente rispetto a quello indoeuropeo. Imparare l’italiano per loro è uno scoglio notevole”.
Come si svolge il vostro progetto educativo?
“In un primo tempo cerchiamo di fare ambientare i bambini sul nuovo territorio. È importante che i ragazzi cinesi più grandi, che conoscono la lingua, facciano da mediatori nei confronti degli ultimi arrivati. Il secondo passo avviene tramite l’allacciamento di un rapporto umano, rafforzato dall’attività didattica e ricreativa svolta insieme e in maniera continuativa nel tempo.
Un altro punto di forza su cui insistiamo e sul quale hanno insistito anche i loro genitori, è l’insegnamento della lingua cinese contemporaneo a quello dell’italiano, perché i bambini non smarriscano la loro cultura d’origine e considerino questa un dono prezioso”.
Qual è la principale difficoltà?
“Le famiglie cinesi migrano con frequenza da un città all’altra dell’Italia e spesso anche in altri paesi europei. Questo per i giovani è un forte fattore destabilizzante, che rallenta il loro ambientamento e la creazione di legami stabili. Noi cerchiamo di mantenere il rapporto con loro nonostante la lontananza. Spesso ragazzi che hanno frequentato il Centro e si sono poi dovuti trasferire, tornano a trovarci in occasione delle festività”.
Qual è il punto di forza del Centro?
“La fedeltà. Il fatto che i cinesi sanno di trovare in noi sempre una porta aperta, un’occasione di dialogo e di ascolto, cosa che spesso manca nella nostra società”.
Ci sono volontari che prestano servizio al Centro?
“Senza volontari non esisterebbe il Centro. Con noi ogni pomeriggio ci sono docenti, ragazzi appartenenti agli scout e all’Azione Cattolica. Ai volontari, spesso giovani, raccomando di tenere duro perché la relazione all’inizio non è facile. Però, poi, dalla perseveranza e dalla continuità fioriscono amicizie stabili, forti. I bambini sanno riconoscere l’impegno dei volontari nel cercare di ascoltarli e comprenderli”.
Come vedi il futuro di questo Centro?
“Penso che questa realtà rappresenti una palestra di esperienza interculturale alla quale tutta la comunità savignanese debba attingere in vista del futuro.
I legami che nascono qui dentro poi sono destinati ad ampliarsi e radicarsi anche all’esterno. L’esperienza testimonia che un futuro insieme è possibile. L’alternativa negativa è che si creino due società parallele, indifferenti l’una all’altra e senza punti di contatto”.
Giacomo Vaccari