IL TEMA. Si chiama ortoressia. È l’ossessione di mangiare prodotti sani
Fa che il cibo sia la tua medicina e che la medicina sia il tuo cibo.
Forse un gioco di parole quello di Ippocrate, considerato il padre della medicina scientifica, eppure cela un significato molto semplice e lineare. Il cibo è la benzina senza la quale il motore non parte, per dirlo con una metafora.
Dunque è necessario saper quale tipo di benzina è adeguata al nostro tipo di motore. Certamente, poi, è importante sapere anche quanta ne occorre. Troppo poca è equivalente a poca energia e poco tempo per utilizzarla. Troppa, invece, strariperebbe dal serbatoio. Ma evidentemente, metafore a parte, il nostro corpo non è una macchina. Siamo fatti di carne, ossa, sentimenti, dolori ed emozioni. E come esseri viventi sensibili, non tutti siamo uguali. E non esistono soluzioni universali e assolute ad hoc per tutti.
Molte persone in Italia – secondo recenti stime del Ministero della Salute attualmente 3 milioni e 200.000 – hanno problematiche legate al rapporto con il cibo. Circa il 5% della popolazione nazionale sente lontano da sé, estranee quasi, le parole di Ippocrate. Ed ecco che il cibo più che la medicina, diventa la malattia.
Negli ultimi mesi sono stati diagnosticati, infatti, il 36% in più di casi rispetto allo scorso anno e il 48% in più di ricoveri in Pronto Soccorso dovuti a problematiche da DCA (Disturbi del Comportamento Alimentare). Si tratta di disturbi psichiatrici invalidanti, potenzialmente mortali, che compromettono la salute fisica e il funzionamento sociale dell’individuo, caratterizzati da un rapporto patologico tra corpo e alimentazione. Tra i più riconosciuti si annoverano l’anoressia nervosa, la bulimia nervosa e il binge-eating disorder. Ma ne esistono tanti altri, ostici da individuare e da trattare, soprattutto perché in prima istanza, chi ne soffre difficilmente è consapevole di avere un disturbo, un problema, e ignora le avvisaglie. C’è anche chi si ‘difende’ dietro la convinzione di star compiendo determinate scelte ‘sane’ per la propria salute.
Chi soffre di ortoressia, ad esempio.
È una parola greca che deriva da Orthos (giusto, sano, corretto) e Orexis (appetito). E se la cercassimo sul vocabolario troveremmo scritto: “Ossessione quasi maniacale per una alimentazione corretta e salutare”. Dove si trova l’inganno?
Presto detto. Secondo la teorizzazione di Steven Bratman – il medico americano che per primo inserisce il termine ‘orthorexia’ nella letteratura scientifica e la diagnostica nel 1997 – la prima tappa dell’ortoressia nervosa (ON) è descritta come ‘innocente’ e ‘meritevole’ e consiste appunto nella scelta di consumare alimenti salutari, con lo scopo ad esempio di mantenersi in salute. L’ortoressia crea, però, una distorsione di un’alimentazione sana e impone la selezione di cibi sulla base di
specifiche caratteristiche organolettiche, di lavorazione o di provenienza, scavalcando ogni limite razionale.
Insomma un disturbo travestito da virtù.
“ Il desiderio inconscio che sta alla base dell’ortoressia si differenzia dagli altri disturbi alimentari. – spiega ChiaraSole Ciavatta, fondatrice di MondoSole, Associazione e Centro di cura, riabilitazione e reinserimento sociale per persone che soffrono di DCA, a Rimini – Se nell’anoressia- bulimia ci troviamo davanti ad una irriducibile pulsione di morte che punta ad un tentativo di annullamento della vita, nell’ortoressia invece il desiderio inconscio più frequente è il suo contrario, cioè quello dell’immortalità, perseguita attraverso un’esclusione di tutto ciò che, nel cibo (ma non solo) può risultare tossico”.
ChiaraSole è stata malata di anoressia, bulimia, binge eating, depressione e altre forme di dipendenza per oltre 14 anni.
Dopo la sua guarigione, ha deciso di mettere a disposizione degli altri la sua esperienza di ex-malata e, assieme ad uno staff clinico, ha ideato un luogo che possa offrire la possibilità di comprender e superare la sofferenza interiore.
“L’ortoressia è un disturbo molto diffuso, anche nel nostro territorio. Molto spesso però, chi si rivolge al nostro Centro chiede aiuto per una serie di sintomatologie mischiate tra loro: a volte con l’anoressia, altre con anoressia-bulimia. Questo perché una persona che soffre di DCA fa particolarmente confusione ad ammettere di avere un disturbo. C’è anche da aggiungere che il nostro è un centro di second line e quindi giungono a noi anche dopo anni di malattia e dopo tantissimi altri tentativi”.
L’intervento della psicologa
Qual è il profilo neuropsicologico di un paziente che soffre di ortoressia? Lo abbiamo chiesto ad una psicologa e psicoterapeuta cognitivo-comportamentale di Rimini, Anna Fontemaggi.
È giusto considerarla una patologia?
“L’interesse per il cibo sano sicuramente non è patologico, ma lo diventa quando sfocia in pensieri ossessivi, comportamenti compulsivi, autopunizione e progressive restrizioni. Si tratta di uno stravolgimento a livello mentale e psichico derivato da un comportamento caratterizzato da una marcata tendenza al perfezionismo, elevati livelli di ansia e una forte necessità di possedere un importante controllo sugli altri e sulle situazioni. Nonché una non indifferente propensione verso rigide regole morali e comportamentali, fobie di contaminazione e pensieri intrusivi. Ecco che quindi questa attitudine diventa una patologia vera e propria perché intacca inevitabilmente la sfera dei nostri interessi, delle nostre relazioni, della nostra quotidianità. Ad esempio, una cena con gli amici può davvero provocare uno stress emotivo perché vi si cela dietro un’insistenza nella ricerca di un posto giusto che possa soddisfare le esigenze di cibo biologico, non contaminato”.
In quale età si sviluppa questa disturbo ed è più legato al sesso femminile o maschile?
“Si può sviluppare in qualsiasi periodo della vita. I dati rilevano che c’è una più alta incidenza maschile: secondo una recente indagine promossa da NutriMente, associazione per la prevenzione, la cura e la conoscenza dei disturbi del comportamento alimentare, in Italia all’interno del 15% di persone che soffrono di ortoressia, l’11.3% sono uomini contro il 3.9% di donne. Comunque, io mi sentirei di affermare che non si tratta di una prerogativa maschile. Come per il discorso dell’età, si tratta di un disturbo uniformemente distribuito tra i due sessi”.
Come vengono sostenuti e seguiti i pazienti?
“È necessario un intervento multidisciplinare. Nel mio ambito di programma di cura dei Disturbi Alimentari Rimini è previsto che una psichiatra, una nutrizionista, alcune psicoterapeute ed una psicologa particolarmente formate in questo campo operino congiuntamente e costruiscano con il paziente un progetto psicoterapeutico, oltre che medico-nutrizionale ed eventualmente psichiatrico.
Personalmente effettuo valutazione e diagnosi attraverso colloqui clinici e, se necessario, la somministrazione di test psicodiagnostici e questionari. Effettuo inoltre percorsi di sostegno di tipo psico-educazionali con i familiari dei soggetti colpiti, percorsi assolutamente necessari per modificare in senso positivo il decorso e le eventuali ricadute dei disturbi oltre che sul contesto familiare in termini di clima emotivo e di riduzione dello stress”.