L’estate del nostro scontento, che è il titolo dato da Giuliano Ghirardelli al suo articolo sul turismo e pubblicato nel numero scorso di Tre, inquadra abbastanza gli umori diffusi, non so se prevalenti, alla (quasi) fine della stagione turistica 2023. Che non è stata particolarmente esaltante, o almeno non come ci si attendeva: al momento, considerando il periodo gennaio-agosto, il territorio registra, rispetto all’anno precedente, un leggero segno positivo negli arrivi, ma un calo, per certo non drammatico, dei pernottamenti. Rinviando il pieno recupero dei valori pre Covid. Che, ricordiamolo, sono gli stessi da oltre un ventennio, nonostante la crescita del turismo mondiale.
L’andamento della stagione non dispiace, invece, al Sindaco di Rimini, comune che in realtà ha registrato numeri positivi sia negli arrivi, sia per le presenze, soprattutto estere, senza comunque riuscire a colmare il vuoto lasciato dalla pandemia. Crescita pare confermata anche dall’aumento delle entrare dell’imposta di soggiorno, che dopo quattro anni tornano a superare gli otto milioni di euro. Il meritorio convegno, promosso dall’istituto tecnico per il turismo ‘Marco Polo’ di Rimini, che ha riunito attorno allo stesso tavolo un buon numero di operatori turistici, riempiendo un vuoto di riflessione e dibattito che dura da troppo tempo (sull’assenza e il silenzio dell’Università di Rimini andrebbe aperta una riflessione), ha di nuovo riacceso i riflettori sui cambiamenti positivi, ma anche sul permanere di storiche criticità, della nostra offerta turistica. Scontato il plauso unanime all’intervento pubblico per il rifacimento della fascia costiera, non è mancato chi ha fatto notare che questo non pare stia funzionando da traino al rinnovamento dell’offerta alberghiera, di qualità spesso imbarazzante, in particolare certi tre stelle, che sono la maggioranza, come confermato da un operatore che deve vendere le loro camere. Ma non meno imbarazzante è lo stato, a detta dallo stesso rappresentante di categoria, dell’offerta commerciale a sud di piazza Marvelli. All’ultimo bando regionale di finanziamento per la riqualificazione degli hotel hanno aderito in 180 nell’intera provincia, che però rappresentano meno del dieci per cento del totale. Comunque meglio di un precedente bando, del 2019, quando le attività ricettive che avevano risposto, e ottenuto finanziamenti, erano state solo ventidue. Come è oramai prassi, non potevano mancare le lamentele per lo stato di degrado delle colonie, cui, negli ultimi tempi si sono aggiunti oltre trecento alberghi fuori mercato, chiusi, che valgono meno di un appartamento, ma che nessuno vuole. E che spesso diventano ricettacolo, non certo gradevole, di ogni sorta di sbandati. È chiaro che i proprietari aspirano a trasformali in appartamenti da vendere a buon prezzo, vista la posizione. Non certo, questo è bene chiarirlo, utili per aumentare l’offerta di alloggi a prezzi meno esosi, di cui c’è grande bisogno, di quelli di mercato. Ma aumentare l’offerta di abitazioni, quando ce ne sono già 47.000 vuote, sarebbe un insulto al buon senso. Si parla, soprattutto da parte del Comune di Rimini, di riconvertirli in studentati e alloggi per personale sanitario (non solo mancano medici e infermieri, ma pure gli alloggi dove stare), ma è evidente che una operazione simile, poco attrattiva per il privato, richiede un’assunzione di responsabilità del Pubblico. Infine c’è il fattore tempo, per intervenire sulle colonie, gli alberghi chiusi, ecc…, fino ad oggi trattato come una variabile ininfluente. Non è così: perché ogni anno che passa, l’incuria e il degrado si allargano e fatalmente diminuisce la competitività e l’attrattività, anche per potenziali investitori, del nostro turismo.