“In questi giorni una cosa appare sconcertante e si registra nelle dichiarazioni di politici un po’ qua e là in Europa. Grande solidarietà agli afghani che perdono libertà e diritti, ma ‘che restino lì, non vengano qui perché non li accoglieremmo. Questo non è all’altezza dei valori e del ruolo dell’Unione”.
È il capo dello Stato, Sergio Mattarella, a denunciare durante un incontro a Ventotene l’ambivalenza dei paesi europei sull’accoglienza delle persone in fuga dall’Afghanistan riconquistata dai talebani. Un monito e un richiamo alla solidarietà e alla condivisione, contro qualsiasi speculazione e calcolo elettorale, rivolto anche al nostro paese.
Ma come si sta organizzando l’Italia per accogliere i profughi afgani? In totale sono circa 5000 le persone arrivate attraverso le diverse operazioni di evacuazione da Kabul.
Sono ora ospitati temporaneamente, per il periodo di quarantena, nelle strutture della Difesa (781) e in quelle gestite dalle Regioni (1.970). Inoltre, 1250 persone sono ospitate nell’hub allestito ad Avezzano e gestito dalla Croce Rossa Italiana con il coordinamento della Protezione Civile Nazionale. Qui è stato avviato anche un piano di vaccinazione.
Una volta terminato il periodo di isolamento dovranno essere trasferiti nelle strutture di accoglienza. In Emilia Romagna ne arriveranno 400, a Rimini dai 20 ai 40, secondo la necessità e la disponibilità.
Per questo si stanno cercando a livello nazionale posti sul territorio, in particolare, si stanno attivando nuovi centri per l’accoglienza straordinaria (Cas) attraverso le prefetture. Nei giorni scorsi con una circolare il capo Dipartimento Immigrazione e libertà civile, Michele Di Bari ha dato indicazioni precise per il reperimento di posti sia dalle organizzazioni, che dai privati e dalle tante famiglie che stanno esprimendo la loro disponibilità ad accogliere le famiglie con bambini. Nei prossimi giorni, poi, verrà emanato un decreto per allargare il Sistema di accoglienza e integrazione (Sai, ex Sprar).
Il problema è che non lo si faccia in maniera sbagliata con servizi al minimo e poche risorse, perché così le organizzazioni che lavorano da anni nell’accoglienza con serietà e servizi, rifiuteranno ed entreranno di nuovo nella gestione soggetti improvvisati, con i rischi “aziendali” che tutti conosciamo. L’accoglienza è una cosa serie e va fatta per bene, fornendo servizi adeguati. Non basta certo il volontariato.
Bisogna evitare di cadere di nuovo in un sistema emergenziale, allargando il modello Cas. Al massimo vanno fatti bandi in cui per i posti in accoglienza straordinaria siano garantiti gli stessi servizi e le stesse condizioni dei Sai. E raccordarsi con i comuni per immaginare reale percorsi di inclusione.
Eleonora Camilli