Raggiungere la Luna è stato un antico sogno dell’uomo, fonte di ispirazione per artisti e scrittori (vedi Jules Verne) e nel 1969, a conclusione di un duello contro l’antagonista sovietico che bruciava le tappe per la conquista dello spazio lasciando gli americani a bocca asciutta, l’impronta di Neil Armstrong si posò per la prima volta sul suolo lunare, raggiungendo un obiettivo che allora sembrava fantascienza.
All’epica impresa dell’Apollo 11 (a bordo Armstrong, Buzz Aldrin e Michael Collins, quest’ultimo impegnato a mantenere il modulo di Comando in orbita) dedica le sue attenzioni il regista premio Oscar Damien Chazelle, ancora una volta impegnato a raccontare la realizzazione di sogni e il raggiungimento di obiettivi, sia dietro ai tamburi di una batteria (Whiplash) che seduto davanti ai tasti di un pianoforte (La La Land) o, come in questo caso, in viaggio verso un “mondo nuovo” tutto da scoprire.
Eroi e non supereroi. Umani, molto umani gli astronauti di Chazelle, tra bulloni che sembrano saltare da un momento all’altro e attrezzature arcaiche che fanno sorridere al confronto con la tecnologia odierna. Un misto di incoscienza e di orgoglio, mescolato alle lacrime versate (il lutto di Armstrong per la morte della figlioletta ma anche le esequie per i colleghi caduti tra esercitazioni e test nel percorso di avvicinamento alla Luna) e alla consapevolezza di voler rischiare il tutto per tutto, che ha portato a quel “piccolo passo per l’uomo, grande per l’umanità”. Senza enfasi, senza spettacolarizzazione fuori misura, First Man ci conduce in un viaggio verso una nuova scoperta che è anche rinascita dell’essere umano che deve superare confini per ritrovare se stesso in una nuova dimensione.