Prigionieri per la libertà” è un’esposizione fotografica sull’internamento militare italiano, realizzata con le foto scattate clandestinamente dal tenente Vittorio Vialli, uno dei circa 800mila internati militari italiani che dopo l’8 settembre 1943 fu deportato in vari campi di internamento in Germania e in Polonia. La mostra, inaugurata a Riccione, presso Villa Mussolini, è organizzata dalla Cisl di Rimini con il patrocinio dell’Istituto Storico di Rimini e del Comune di Riccione, e rimarrà aperta sino al 2 giugno.
Grazie alla sua inseparabile Zeiss, il tenente Valli riuscì a scattare e riportare dalla prigionia 400 immagini che documentano tutta la sua detenzione, dalla cattura alla liberazione. Immagini preziose, che rappresentano la vita dei campi dall’interno e al tempo stesso denunciano le violenze a cui erano sottoposti i militari italiani e testimoniano la loro volontà di vivere e il loro desiderio di normalità, come le partite di calcio arrangiate e le messe da campo allestite alla meglio.
I prigionieri italiani viaggiarono per giorni nei vagoni bestiame senza cibo né acqua e all’arrivo nei lager furono costretti a scegliere tra collaborare con le truppe tedesche o la Repubblica Sociale di Salò. Tornare quindi in Italia, o rimanere nei lager e andare a lavorare nelle fabbriche o nelle campagne tedesche. Una scelta non facile, dire no alle lusinghe di un immediato trattamento migliore, di un pasto caldo e un letto comodo, e circa centomila soldati accettarono.
Seicentomila militari, invece, scelsero la non collaborazione e rimasero nei lager, al freddo delle baracche, a combattere contro malattie, pulci e pidocchi. Fedeli al giuramento militare fatto e fiduciosi in un’imminente fine dei combattimenti, s’incamminarono su una strada carica di sofferenze, di soprusi e di stenti.
“Nei patronati della INAS-CISL questo dramma è conosciuto molto bene – spiegano dalla segreteria generale CISL Rimini – attraverso il dialogo con quelle stesse persone che si sono rivolte ai nostri sportelli chiedendo ascolto e consiglio”. Infatti, oltre 120mila italiani presentarono domanda alla Repubblica federale tedesca per ottenere il risarcimento spettante ai deportati. Soltanto a tremila di essi, però, quelli perseguitati per motivi razziali e religiosi, è stato riconosciuto questo diritto, negato invece agli altri perché considerati prigionieri di guerra. “L’INAS-CISL continua a prestare assistenza a coloro che vogliono proseguire la battaglia legale per il riconoscimento dell’indennizzo, e continua ad adoperarsi anche a livello politico affinché sia resa loro giustizia. Giustizia che da parte dello Stato italiano ha assunto la forma di un riconoscimento simbolico, ma moralmente e storicamente è necessario anche il risarcimento materiale per il quale, però, non è stato ancora raggiunto un accordo col governo tedesco”.
Questo capitolo di storia, per anni dimenticato, sono stati gli stessi internati a volerlo. Inizialmente, in realtà, nelle poche lettere che riuscirono a far pervenire alle famiglie, i prigionieri cercarono di nascondere le loro reali condizioni di vita. Al ritorno in patria, dopo la liberazione del 1945, circa il 90% non raccontò mai quello che successe in quei tragici mesi. Cinquantamila militari non riuscirono a tornare a casa e morirono per varie malattie o ingiustificate fucilazioni. Oggi la mostra fotografica allestita a Riccione riporta alla memoria, attraverso le immagini del tenente Vialli, questa parte di storia rimasta sommersa per anni.
La mostra è aperta dal martedì al venerdì, dalle 10 alle 12.30 e dalle 16 alle 19. Sabato e domenica l’apertura si prolunga fino alle 22: l’ingresso è libero (info tel. 0541/799800, www.prigionieriperlaliberta.net).
Genny Bronzetti