Noi non sappiamo pregare. Per quanto ci diamo da fare – per quanto leggiamo libri e articoli sulla preghiera, per quanto frequentiamo corsi biblici, recitiamo salmi e pratichiamo esercizi spirituali – nell’esperienza della preghiera misuriamo tutta la nostra povertà e una paralizzante impotenza. In effetti che cosa sono le nostre preghiere? Che cosa ci attendiamo dal Signore? Il più delle volte lo preghiamo di allontanare da noi l’ansia, di risparmiarci l’angoscia e la sofferenza, di rimuovere da noi le molteplici contrarietà della vita. Pensiamo che la sua onnipotenza debba esprimersi nella soddisfazione dei nostri bisogni umani e nell’appagamento dei nostri desideri immediati. Davvero non sappiamo pregare. San Paolo parlava di “astenia”, di quella debolezza, per cui “non sappiamo nemmeno che cosa sia conveniente domandare” (Rm 8,26). Dobbiamo metterci alla scuola del Signore Gesù, e supplicarlo accoratamente, come fecero quel giorno i suoi discepoli, quando uscì dal suo ritiro solitario: “Signore, insegnaci a pregare!”.
Il Padre nostro
Il “risultato” fu la preghiera del Padre Nostro. Pregare Dio chiamandolo Padre! L’appellativo Padre non è uno dei tanti possibili attributi divini: è il primo nome di Dio, perché ne dice l’intima natura – quella, appunto, di Padre – e ne indica più di una proprietà tra le altre. Padre è il suo vero nome proprio. Ma c’è una sfumatura che purtroppo nella traduzione dall’aramaico al greco e poi nel passaggio al latino e all’italiano si è persa. Gesù pregava e insegnava a pregare nella sua lingua materna, e nel rivolgersi a Dio usava una parola colma di affetto, Abbà. Confidenza inaudita per un pio ebreo! Andrebbe tradotta con “Papà mio, Babbo caro”. Se è vero che il Padre Nostro è la “sintesi del vangelo”, questa sola paroletta è la sintesi della sintesi. Capiamo a questo punto perché una santa Teresa di Lisieux diceva che questa sola parola le bastava ripeterla con il cuore e mormorarla lentamente con le labbra per rimanere in preghiera anche un’ora intera!
Né teorie sofisticate né ricette
Gesù non ci propina delle complicate teorie sulla preghiera e nemmeno ci rifila delle sofisticate ricette pronte per l’uso. Piuttosto fa piazza pulita delle nostre illusioni. Tante volte noi ci costruiamo non poche idee distorte e preconcette della preghiera. Ci viene da pensare che sia il risultato immancabile di raffinate tecniche di concentrazione. Oppure che serva a ‘far cambiare idea’ a Dio in modo che si decida finalmente a darci una mano per realizzare i nostri sogni di affermazione e di strabilianti successi. O per portare a compimento i nostri piani di rivalsa. Ci mettiamo in testa che la preghiera scada, in pratica, a ricatto più o meno diplomatico perché Dio si pieghi ai folli desideri del nostro povero, pazzo cuore.
Il dono più grande, l’aiuto più decisivo ed efficace che il Signore ci possa dare, ce l’ha già dato al nostro battesimo: è il suo stesso Spirito. Ci ricorda s. Paolo: “Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli, per mezzo del quale gridiamo: ‘Abbà, Padre!’. Lo stesso Spirito attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio” (Rm 8,15s). Lo Spirito del Risorto è il vero “regista” della nostra preghiera. Non lo è il mio io malato, volubile e ripiegato, che dovrebbe sottoporsi a una sorta di contorsioni per poter riuscire a comunicare con Dio. La vera ‘anima’ della preghiera è addirittura lo stesso Spirito personale di Cristo, che è stato “riversato” nei nostri cuori, come un torrente di grazia in piena, e ci ha resi – e sempre ci rende – “figli nel Figlio”.
La riprova di questa dignità filiale è la preghiera. Grazie all’influsso discreto e potentissimo del ‘maestro interiore’, lo Spirito Santo, noi non abbiamo più paura di Dio, perché non siamo dei miserabili schiavi soggiogati dal sibilo immobilizzante della sferza di un padrone dispotico e inflessibile. Non siamo dei mercenari costretti a ‘comprarsi’ i favori di una divinità perennemente accigliata e irritabile. Siamo figli!
Fiducia! dice il Signore. La fiducia nasce sul terreno della gratitudine per le grandi meraviglie operate dal Signore, e fiorisce alla luce della fede nel suo amore di Padre. Senza le due ali della fiducia e della perseveranza, non ci è possibile abbandonarci al grande volo della preghiera. Senza lo Spirito Santo noi, peccatori perdonati, per quanto ci sfianchiamo, non riusciremo mai ad entrare in comunicazione con il Padre del Signore nostro Gesù Cristo.
Ma il dono è assicurato: “Se dunque voi che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!”. È interessante notare che nel passo parallelo s. Matteo sostituisce “Spirito Santo” con “cose buone” (Mt 7,12). Ma per Luca, sempre così attento all’opera dello Spirito di Cristo risorto, tutte le cose buone si riassumono nello Spirito Santo, il dono dei doni, che Dio non ci nega mai.
Francesco Lambiasi