In tempi di crisi sono spesso, e purtroppo, i più deboli a pagare.
Uno studio dell’Ocse, “Employment out look”, suona l’allarme per l’Italia.
Nel nostro mercato del lavoro le conseguenze maggiori ricadono sui giovani: il 46,7% tra i 15 e i 24 anni risulta avere un contratto precario, 9 punti percentuali in più rispetto al 2007, cioè prima della crisi. Nella stessa fascia d’età i disoccupati risultano oggi il 27,9%, prima erano al 20%. Ma lo scandalo è un altro.
Ormai le segnalazioni delle difficoltà dei giovani rispetto al mondo del lavoro non sono quasi più una notizia. Così la questione giovani-lavoro non è quasi tenuta in considerazione, quasi che essere precari fosse naturale.
Si svaluta l’importanza del lavoro per le persone. Si perde di vista quanto sia significativo per un giovane costruire un proprio percorso professionale che diventa anche presupposto alle sue scelte di vita: sposarsi, vivere autonomamente, comprendere come concretamente con il suo lavoro quotidiano potrà contribuire al bene comune del Paese.
Suonano estremamente significative le parole del cardinale Tarcisio Bertone, che ha sottolineato la dimensione vocazionale del lavoro, durante il 1° Festival della dottrina sociale della Chiesa. Il porporato ha spiegato che “la dottrina sociale della Chiesa coglie questa dimensione teologica del lavoro là dove indica la sua realtà collettiva e sociale e là dove afferma che il lavoro umano contribuisce alla nuova creazione, ai cieli nuovi e alle terre nuove. Il lavoro vissuto come vocazione è mezzo ordinario di santificazione, perché vissuto come attuazione laica e concreta della volontà di Dio”.
La precarietà allora è uno scandalo perché non permette ai giovani di esprimersi, lasciando intravedere solo in modo intermittente la loro possibilità di essere capaci d’incidere nell’opera creatrice.
Sarebbero molte le iniziative possibili per iniziare a cambiare rotta.
Se ne può qui evidenziare una, avanzata dal Cnel, cogliendo il periodo di riapertura delle scuole. È stato segnalato, infatti, come in alcuni Paesi (Germania, Olanda) esperienze che riescono ad integrare studio e lavoro, facilitano la transizione dal mondo della scuola al mondo della produzione. Sarebbe forse il caso di iniziare a prevedere anche in Italia percorsi simili che fossero capaci di accompagnare i più giovani a trovare la loro strada all’interno del mondo lavorativo.
Andrea Casavecchia