Sarebbe bello conoscere per quanto tempo e con quali modalità i Romani hanno discusso sulla costruzione del Ponte, poi chiamato Tiberio (14-21 d.C.). Sicuramente, oltre che celebrativa, la motivazione fu strategica, finalizzata all’espansione dell’Impero; altamente strategica, visti i risultati e la sua longevità funzionale. Ma i riminesi, già allora, ne erano consapevoli? Se lo meritavano o era ed è rimasto un ponte di Roma?
Certo è che dopo la caduta di Roma, senza la presenza di una simile struttura, difficilmente sarebbe rimasto un residuo di città (La Castellaccia), vera cittadella fortificata formatasi a ridosso del Ponte, usato dal duca Orso come strumento di potere e ricchezza (pedaggio), fondamentale per il collegamento Nord-Sud. Contemporaneamente, sull’altra riva, si andava costituendo la città in attesa (borgo S.Giuliano). Siamo nei secoli antecedenti il Mille.
Più vicino a noi (1900), grazie al Ponte, si è reso possibile l’innesto della via Emilia con la strada di circonvallazione attorno alle mura Malatestiane sino alla via Flaminia, baipassando il Centro Storico; segno dei tempi moderni, celebrati con continuità e per decenni dalla Mille Miglia (l’Amarcord di Federico Fellini).
Ci sono voluti gli inglesi col Piano di Ricostruzione (1945) per pensare di dare sollievo all’antico Ponte con il progetto di rettifica della vecchia Circonvallazione e la previsione di un nuovo attraversamento del Marecchia a monte del Tiberio. Un pensiero appunto: quei terreni indicati per l’accesso al nuovo ponte sono rimasti vincolati sino praticamente ai giorni nostri; sopravvissuti ad almeno quattro Piani Regolatori, mai però andati oltre alla mera ipotesi di una effettiva alternativa al vecchio Ponte. Neppure il corposo Piano Particolareggiato degli anni ’70 (arch. Viganò) ha mostrato la dovuta sensibilità per l’usura del manufatto romano.
Così fu la Sovrintendenza ai Monumenti di Ravenna che – riconoscendo finalmente al Ponte Tiberio il giusto valore monumentale – ne minacciò la completa chiusura al traffico automobilistico (1980). Finalmente si iniziarono a fare progetti (ponte strallato, tunnel…) miseramente sfociati nell’indicazione di un guado (P.R.G. ’92) in attesa di tempi migliori. E sino ai giorni nostri il dibattito cittadino si è arrenato fra le due alternative: sopra o sotto; autorizzando di fatto ogni Amministrazione Comunale succedutasi nel tempo, a non fare nulla se non altre assurde ipotesi come quella di sostituire il Ponte di Tiberio con un attraversamento del fiume molto più a monte.
Il fatto è che l’argomento “Ponte Tiberio” è molto più complesso del solo pensare ad una alternativa allo storico monumento e non può che essere esteso al modo d’intendere l’intera città nel suo rapporto con l’Europa (e il mondo), ora e in futuro; più o meno come ai tempi della sua concezione Romana.
Sono tanti i “fattori” da combinare: dall’eliminazione del traffico sul lungofiume e da piazza Malatesta, all’integrazione dei borghi San Giuliano, Mazzini e Centro Storico; da una fluidificazione del traffico tangente alla città (settore occidentale), ad una effettiva accessibilità pedonale/ciclabile al Parco Marecchia, avvicinandolo alle strutture storiche di Rimini (Piazza Malatesta); da ultimo ma non meno importante, il ripensamento del Parco Marecchia, con “argini” più consoni in questo suo tratto urbano (ora vi si affaccia il retro degli edifici) e soprattutto con il valore funzionale dell’antico corso del fiume; ricostituire infatti il canale di alimentazione fluviale significa alimentare con acqua corrente il Porto Canale. Inoltre, ripristinando le due dighe (una visibile e funzionante sotto il ponte Dell’Esploratore, l’altra a fianco – zona campi sportivi – e più alta, ora interrata), costruite quando fu creato il deviatore del Marecchia per regolare i flussi sulle due aste fluviali, si aumenta notevolmente il fattore di sicurezza nei confronti della città.
Considerate tutte le componenti e giunti al progetto, da scartare a mio modo di vedere l’idea del tunnel, a più riprese proposto con la giustificazione di non compromettere il Parco Marecchia. Diverse infatti le contraddizioni da rilevare in questa apparente nobile idea: esclude definitivamente la memoria dell’antico Fiume; cancella la visione del Ponte Tiberio e la sua ricognizione storica per coloro che usano ed attraversano la città; ostruisce il libero defluire del corso sotterraneo del Marecchia compromettendo le sorgenti di acqua potabile tuttora esistenti nel Parco; costituisce un’inutile rischio in caso di piene eccezionali; concentra il fenomeno dell’inquinamento dell’aria anziché disperderlo.
Così come, per la scarsa funzionalità della mobilità urbana che significherebbe, non impegnerei risorse nel ricercare un’alternativa al Ponte Tiberio troppo a monte della città. Scartato ormai il tracciato del dopoguerra (Piano di Ricostruzione) per il traffico automobilistico ancora troppo a ridosso della Rocca Malatestiana, non andrei oltre via Italo Flori (vedi schema della mobilità proposto).
Dal momento che si tratta di produrre un’idea nuova, non tanto e solo per il manufatto alternativo al Ponte Tiberio (lavoro da tecnici specializzati, comunque da eseguire con arte e maestria), ma per tutta Rimini al fine di incrementarne immagine, funzionalità e sicurezza, è auspicabile che un serio (sereno) dibattito si riapra nella città, coinvolgendo tutti i cittadini e affrontando il problema nella sua complessità e da ogni punto di vista.
Nedo Pivi