di Stefano De Martis
Gli esperti di statistiche dicono che sono i dati peggiori di sempre. Di sicuro il crollo della partecipazione elettorale nelle regionali di Lombardia e Lazio è di proporzioni enormi. Nel 2018 aveva votato, rispettivamente, il 73,81% e il 66,55 degli aventi diritto, questa volta – con i seggi aperti anche il lunedì mattina a differenza della precedente – l’affluenza si è fermata al 41,61% e al 37,20%.
Più meno trenta punti di scarto in entrambe le situazioni. Certo, non si può non ricordare come nel 2018 il voto regionale fosse stato abbinato alle politiche, un fattore oggettivamente rilevante ai fini del confronto tra le due tornate. Ma questa constatazione non toglie nulla al dato nudo e crudo: un’amplissima maggioranza degli oltre 12 milioni di elettori potenzialmente interessati non ha risposto alla chiamata alle urne. E ciò nella Regione economicamente e demograficamente più grande del Paese e in quella che comprende la capitale d’Italia. C’è
molto poco di locale in quel che è accaduto. È piuttosto una questione “di sistema” quella che viene posta alla nostra Repubblica. Una questione di democrazia.
Anche perché non arriva come un fulmine a ciel sereno ma si inscrive in un processo di progressiva e costante erosione della partecipazione elettorale dei cittadini. È una questione di cui si devono fare carico tutti i partiti, anche quelli che legittimamente rivendicano la vittoria nei seggi.
Perché in prospettiva il rischio è quello di vincere nel deserto… Comunque l’affermazione dei candidati del centro-destra (sempre più destra-centro, per la verità) è stata molto netta, addirittura superiore alle previsioni. Fratelli d’Italia è il primo partito in entrambe le Regioni, la Lega risale lievemente almeno rispetto alle politiche, Forza Italia ha un andamento oscillante. Sull’altro versante il dato che emerge è la resilienza persino sorprendente del Pd mentre i suoi alleati in Lombardia ( M5S) e nel Lazio ( Azione-Italia Viva) non hanno ottenuto risultati soddisfacenti. Le alleanze a geometria variabile non hanno spostato il problema di fondo delle opposizioni che è fare onestamente i conti con la legge elettorale vigentee trovare la strada per accordi politicamente sensati. Altrimenti continuerà a non esserci partita, a meno di rivoluzioni nella geografia dei partiti che al momento non si vedono all’orizzonte.
Bisogna peraltro ammettere che queste dinamiche all’interno degli schieramenti risultano ormai del tutto autoreferenziali rispetto a un elettorato che non trova proposte politiche capaci di mobilitarlo almeno nella chiamata alle urne. E forse il dato eclatante del crollo dell’affluenza in una tornata di voto regionale così significativa, dovrebbe spingere anche a un’ulteriore riflessione sull’autonomia differenziata.
Alla prova dei fatti un certo regionalismo ideologicamente enfatico non sembra proprio essere in cima agli interessi degli italiani.