Di trattori in strada, in questo primo periodo del 2024, se ne sono visti tanti. A brandire cartelli, striscioni, slogan, alla loro guida: gli agricoltori. Una protesta a sfondo internazionale, partita dalla Germania a metà dicembre dello scorso anno.
Tutto nasce da alcune decisioni del Governo tedesco e da una prima bozza di bilancio per il 2024. Olaf Scholz, cancelliere del Governo, ha dovuto scegliere dove ridurre le spese ed effettuare tagli, in tal modo da ridurre il deficit finanziario. Risultato finale? È stato il settore dell’agricoltura ad essere colpito. Sono stati annunciati un aumento delle tasse e un taglio nei sussidi agricoli, e la conseguente eliminazione dei principali privilegi fiscali per i coltivatori. Era stato previsto di fare tutto ciò in maniera diretta, ma quantomeno c’è stata una retromarcia e si è deciso di effettuare questa riforma in maniera graduale, così da permettere alle aziende di adeguarsi.
I punti salienti della protesta di risposta variano a seconda dei territori, del gruppo di appartenenza, delle idee politiche del singolo agricoltore, ma vi sono alcune affinità generali. Come ad esempio, in primis, interventi sui costi della produzione, stop ad aumenti del gasolio, moratoria sui debiti. E poi ancora, la sburocratizzazione delle procedure per l’accesso ai fondi europei e la revisione della legge 102/2004 che regolamenta i risarcimenti per le calamità naturali.
Si tratta di un settore che da almeno 15 anni si trova in uno stato di fragilità: tra il 2005 e il 2020 sono state circa 5.3 milioni le aziende agricole che in Europa hanno chiuso i battenti. In Italia, solo nel 2022 sono state 3.623 le aziende (in gran parte piccole e piccolissime) che hanno rinunciato. Anche il 2023, non è stato un anno troppo florido. Sia a causa di una politica più sostenibile (il cosiddetto Green Deal) che rende più complicata la produzione e che i ‘trattori’ definiscono ‘estremismo ambientalista’; sia per motivi ambientali quali sono state alluvioni seguite da periodi di estrema siccità in Italia, Portogallo, Grecia…
Nonostante la forte mobilità e interazione dei ‘nostri’ trattori, nel nostro Paese i cortei sono in larga parte spontanei, convocati da comitati improvvisati e dunque non troppo omogenei.
Tuttavia, comunque, sarebbe erroneo anche considerare l’intero mondo agricolo come composito, come blocco unico. Le varie proteste in atto nelle strade italiane svelano quanto in realtà non si tratti di una unica entità.
In maggioranza, chi protesta e scende in strada appartiene al circuito agricolo industriale, quella che viene chiamata ‘agricoltura convenzionale’.
Ma ci sono anche agricoltori che sono rimasti in silenzio, al di fuori della manifestazione vera e propria. Non perché voci fuori dal coro, probabilmente perché invece non hanno trovato l’organizzazione abbastanza coesa da parteciparvi. Si tratta in maggioranza di piccole imprese. Forse non si sentono rappresentati dalla protesta o magari solo in parte. Altri invece si trovano in disaccordo con le istanze contro il Green Deal e dunque sono favorevi alla riduzione della transizione ecologica.
Abbiamo interpellato Fabio Polidori, proprietario della Poli Hops, un’azienda agricola incentrata principalmente sulla coltivazione del luppolo.
Lei ha partecipato alla protesta?
“No, non ho preso parte alla manifestazione. Ma non perché fossi contrario ai principi e alle idee portate avanti, semplicemente perché io mi ritrovo in una situazione ‘anomala’, che poco ha a che fare con l’agricoltura ‘convenzionale’”.
Ci spieghi meglio.
“Mi occupo prettamente di agricoltura sperimentale, i miei sono prodotti di nicchia, non di grande produzione. Poli Hops nasce nel 2015 e fin da subito come azienda agricola convertita al biologico. Non coltivo solo il luppolo, anche se è il prodotto principale. Mi interesso di incroci e di selezionare diverse varietà di prodotti combinati insieme. Sto iniziando ad avere bei risultati. Ho sempre voluto fare qualcosa che caratterizzasse i miei terreni e ho scoperto due o trecento varietà di prodotti che vi si adattano meglio. Alcuni sono incroci di prima generazione, altri di seconda”.
Diceva che quindi non ha molto a che fare con la grande distribuzione. I prezzi che riceve sono conformi a quanto richiede?
“Esatto. Quello che vendo a privati lo prezzo io, o comunque mi accordo direttamente con loro. Tuttavia conosco i problemi del mercato… Quel poco per cui mi ci affaccio per ordini quantitativamente più cospicui, mi lascia sempre con l’amaro in bocca perché i prezzi riconosciuti sono a dir poco deludenti e dunque condivido le richieste dei protestanti di ridefinire un’equità dei prezzi e delle agevolazioni fiscali”.
Lei riceve qualche tipo di finanziamento esterno, qualche sussidio?
“Molti mi prenderebbero per pazzo, perché lavoro da solo a più progetti di sperimentazione che la maggior parte degli agricoltori svolgono affiancati magari da qualche Facoltà… E magari invece di impiegarci 10 anni per ottenere i risultati sperati, io ce ne impiegherò 15 con solo le mie forze. Ma sono più che soddisfatto e fiero”.