Accedere ai fondi europei è un lavoro complesso. Soprattutto per i Comuni con personale e risorse ridotte. Con il pericolo che i finanziamenti atterrino solo negli enti più grandi e attrezzati, accentuando le disuguaglianze territoriali
Il PNRR, il Piano con cui l’Italia intende utilizzare i fondi europei di rilancio economico dopo la pandemia, ha tanti obiettivi. Tra questi, combattere ed eliminare le disuguaglianze territoriali. Aiutare quelle aree che, per i più diversi motivi, si trovano maggiormente in difficoltà. Partendo dagli enti territoriali per definizione: i Comuni.
Guardando ai numeri, infatti, di recente l’Unione Europea ha sbloccato 21 miliardi di euro per il nostro Paese, che si aggiungono ai circa 46 miliardi già erogati finora. Di questi fondi, alla fine dell’estate risultavano già utilizzati 11,7 miliardi di euro, di cui 1,2 miliardi proprio per la “valorizzazione dei territori comunali”. Sulla carta, dunque, l’aiuto nei confronti dei territori locali è concreto e presente. Altrettanto concreto, però, è il rischio di creare l’effetto opposto. I territori comunali in Italia (circa 8.000 in totale) sono estremamente eterogenei, con comuni che vedono poche centinaia di abitanti e altri che ne contano diversi milioni, con enti da pochissimi dipendenti ad altri che ne vedono impiegati migliaia. Considerare tutti i comuni in un’unica grande categoria rischia di lasciare indietro tutte quelle piccole realtà che, per dimensioni e numero di personale impiegato, non sono fisiologicamente in grado di tenere il passo. Anche in ottica PNRR.
Qui nasce la questione. Avere accesso ai fondi del PNRR non è un lavoro facile, sia per quanto riguarda la fase di partecipazione ai bandi (ricerca e stesura dei progetti, che devono seguire criteri specifici e precisi) sia per quella dell’esecuzione (affidamento lavori, monitoraggio e rendicontazione, il tutto secondo iter burocratici particolarmente complessi). Lavoro che necessita di un importante impiego di forze e risorse. E che per i piccoli Comuni, che spesso vedono impiegati anche meno di una decina di dipendenti, può essere un ostacolo insormontabile. Il rischio, dunque, è che contrariamente agli obiettivi i fondi del PNRR finiscano solo nelle tasche dei Comuni più grandi e attrezzati, accentuando ancora di più le disuguaglianze tra territori. E se si considera che oggi in Italia i piccoli Comuni (meno di 5.000 abitanti) sono oltre 5mila, circa il 73% del totale per oltre 10 milioni di persone, è subito chiara l’estensione del problema.
L’esempio dell’Emilia-Romagna
Un chiaro esempio del rischio di disuguaglianze causate dai fondi del PNRR lo si è avuto di recente proprio nella nostra regione. Nei mesi scorsi sono stati quasi 2 i miliardi del PNRR messi a bando dal Ministero della Cultura finalizzati al recupero e alla valorizzazione dei borghi, la messa in sicurezza dei luoghi di culto, l’efficientamento energetico di musei, teatri e cinema e, infine, al restauro e alla valorizzazione dei parchi e dei giardini storici. Bandi il cui esito ha visto l’Emilia-Romagna aggiudicarsi 131 milioni di euro di finanziamenti complessivi: 121 milioni, però, il 92% di questi finanziamenti, sono destinati a progetti in Emilia e solo 10 milioni di euro sono atterrati in Romagna. 127 i progetti approvati in Emilia, 29 in Romagna. Non certo una distribuzione equa delle risorse.
Una situazione che scoraggia i comuni più piccoli, come ce ne sono tanti in provincia di Rimini, a rivolgersi al PNRR. Amplificando ancora di più le distanze con i grandi comuni.
Come intervenire?
Un tentativo di aiuto ai piccoli Comuni è stato realizzato a livello nazionale, con la predisposizione di un Fondo da 30 milioni di euro indirizzati ai Comuni con meno di 5mila abitanti, per favorire le assunzioni e potenziarne la capacità amministrativa.
A Rimini
Un sostegno più concreto alle piccole realtà territoriali può arrivare dalla predisposizione di un’apposita struttura tecnica in grado di dare ai Comuni di dimensioni ridotte e con pochi dipendenti il supporto necessario per accedere ai finanziamenti del PNRR. Strutture, però, che siano a un livello intermedio, più prossimo rispetto a quello statale. La Provincia, ad esempio, potrebbe essere l’interlocutore più adeguato, Provincia che proprio in questi giorni ha visto l’elezione di Jamil Sadegholvaad come nuovo presidente, dopo Riziero Santi. Può essere l’occasione per aprire una nuova fase nei rapporti con i Comuni? E qual è, più in generale, la situazione dei piccoli Comuni riminesi sul tema dell’accesso al PNRR?
“ A San Leo se cade il sindaco non arriva neanche un euro. – va dritto al punto senza fronzoli Leonardo Bindi, primo cittadino di San Leo – E questa situazione, che è già difficile, vale solo per la fase dell’accesso ai bandi. Ma poi, nel momento in cui i finanziamenti arrivano, io non sono in grado di portare avanti da solo tutta la burocrazia necessaria per realizzare i progetti, sia per tempistiche sia per mansioni. Il tema, dunque, è senza dubbio concreto e importante, e va trattato in due direzioni”.
Ci spieghi.
“ Da una parte c’è l’approccio alla progettazione preliminare che consente di partecipare ai bandi PNRR, che già per molti piccoli Comuni può rappresentare un problema. A San Leo in questo riusciamo a cavarcela: sono arrivati già più di 4 milioni di euro dal PNRR da spendere nei prossimi anni, ma rappresentiamo un’anomalia in questo senso, perché io sono anche un tecnico e lavorando in prima persona, assieme a un gruppo di collaboratori, riusciamo a superare questo primo ostacolo. Dall’altra parte, però, c’è la fase successiva di esecuzione dei progetti e, soprattutto, della burocrazia. Lì è un vero bagno di sangue. Le regole sono state rese enormemente più complicate: si tratta di fondi pubblici comunitari, e rendicontare un appalto di questo tipo è molto, molto più complesso rispetto alla rendicontazione di appalti legati a fondi statali”.
Come vi state muovendo, come piccoli Comuni, per far fronte a queste difficoltà?
“ Tramite ANCI, fin da quando è stato introdotto il PNRR, abbiamo da subito evidenziato queste problematiche al Governo. Purtroppo, però, fino ad oggi non abbiamo ricevuto nessun tipo di soluzione. Il Governo Draghi è intervenuto mettendo in campo un migliaio di esperti, ma non basta. Si tratta di coordinatori, ma in realtà c’è bisogno di tecnici che sappiano materialmente intervenire sui software, sulle piattaforme, ecc. È stato predisposto un Fondo per sostenere le assunzioni e rafforzare i Comuni proprio in ottica PNRR, ma anche in questo caso per accedere occorre destreggiarsi in una burocrazia molto complessa”.
Tra Comuni del territorio riminese vi state confrontando?
“ Ho avanzato una proposta, che in parte è stata accolta, ossia la possibilità di finanziare con fondi PNRR i progetti per i quali esistono già graduatorie. Un po’ tutti i Comuni del territorio hanno partecipato a bandi di finanziamento e, quindi, ci sono delle graduatorie già stilate: se invece di fare nuovi bandi per questi progetti si potessero finanziare le graduatorie già in essere con fondi PNRR, una grande mole di lavoro per i piccoli Comuni verrebbe eliminata”.
La Provincia può essere l’interlocutore giusto?
“ La Provincia ha messo in campo una squadra di cinque persone che si interfacciano con i Comuni in ottica PNRR. Si tratta di persone valide e competenti, ma anche in questo caso sono figure impegnate ‘solo’ in un lavoro di coordinamento. Che è necessario, attenzione, ma deve andare di pari passo con altre figure che lavorino concretamente ai progetti. Ma è vero: la chiave di volta può essere la Provincia”.
Provincia che proprio in questi giorni ha visto l’elezione di Jamil Sadegholvaad come nuovo presidente. Un cambio che può portare a una nuova fase del dialogo su questo tema?
“ L’operato di Santi in questi anni, a mio avviso, è positivo. Oggi, però, è sicuramente necessario un cambio di rotta. Auspichiamo che questo avvenga. Per i piccoli Comuni sarebbe molto importante”.