La Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) prevede regole e tecniche molto precise. Spesso, però, l’impatto psicologico che questa può avere nella coppia rischia di passare in secondo piano. La dottoressa Bianca Nannini, psicologa riminese, da anni si occupa dell’argomento
Il tema dell’infertilità porta con sé numerose altre riflessioni, non meno importanti e tutte delicate e complesse.
Quali sono le cause e le possibili soluzioni mediche, quali sono i metodi scientifici che oggi vengono proposti come rimedi e il loro funzionamento, oltre all’importante aspetto umano. Uno di questi temi, fondamentale ma non sempre trattato, è quello dell’analisi dell’impatto e della gestione delle conseguenze psicologiche che una coppia si trova ad affrontare non solo nel momento di una diagnosi di infertilità, ma anche durante il percorso di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA), qualora venga scelta come tentativo di soluzione.
La dottoressa Bianca Nannini è una psicologa riminese che da tempo conduce ricerche nell’ambito della Procreazione Medicalmente Assistita, con attenzione specifica alla sua relazione con la salute psicologica della coppia. Sul tema ha pubblicato due libri: Vorrei un figlio.
Dottoressa Nannini, qual è l’impatto psicologico su una coppia che si trova ad affrontare la PMA?
“La decisione di intraprendere un percorso di PMA ha generalmente un forte impatto nel quale entrano in gioco diversi fattori come la personalità e, ovviamente, il vissuto personale. Quando la coppia matura la scelta della fecondazione assistita ha già affrontato diverse fasi personali, che vanno dallo shock alla negazione, passando attraverso momenti di rabbia e di tristezza. Le coppie vivono momenti di forte ansia legata soprattutto all’attesa del responso e alla paura dell’eventuale fallimento del trattamento.
Quanto può essere minata la stabilità della coppia?
“L’infertilità è un dato oggettivo che insidia l’equilibrio della coppia e che può condurre la stessa a una crisi di vita, perché va a colpire ogni aspetto del suo vissuto come la relazione coniugale, la vita sessuale, l’identità personale e sociale e, dunque, il proprio benessere. La sterilità è un problema di non facile soluzione e può diventare uno stato patologico che rimane come un’ombra all’interno della vita dei partner”.
A suo avviso, come si potrebbero migliorare le modalità di svolgimento della PMA per evitare o ridimensionare questo impatto?
“Sarebbe auspicabile fornire un adeguato supporto psicologico alle coppie che intraprendono il percorso della fecondazione assistita per permettere che le ansie, le paure e le attese diventino dei punti di forza e di desiderio, per vivere un presente e un futuro in modo più consapevole e fiducioso”.
Da qui la crescente importanza del ruolo dello psicologo: come accompagnare una coppia durante il percorso?
“La coppia e lo psicologo possono incontrarsi e creare insieme uno ‘spazio psichico’, cioè uno spazio intimo in cui l’uno può sostenere l’altro in una dimensione nella quale possono essere liberi e non giudicati. Un momento dedicato a liberare lo stato d’animo di fronte a se stessi e di fronte al coniuge”.
In base alla sua esperienza, sono tante le coppie che durante la PMA si rivolgono allo psicologo, o che abbandonano il percorso prima di completarlo?
“La coppia infertile ha molta difficoltà a parlare della propria condizione, talvolta anche di fronte alla propria famiglia, e non è così scontato che si rivolga a un esperto per trovare un senso all’esperienza che si trova a vivere. Le linee guida che contengono le indicazioni delle procedure e tecniche della PMA consigliano la consulenza psicologica e il supporto alla coppia, sia in ambito pubblico sia privato, ma non sempre questo viene attuato né scelto dai partner. I motivi sono legati al non sentirsi completi nel non rispondere all’istinto socio-biologico di procreazione e di evoluzione che è insito in ognuno di noi. È importante, invece, riflettere intimamente e soggettivamente sul significato di coppia e di progettualità comune”.