Non vorremmo mai averci a che fare e al tempo stesso, sono il nostro primo punto di riferimento tra le mura di un ospedale. Un loro sorriso e una parola gentile tra una flebo e un farmaco, possono cambiare decisamente in meglio il ricordo di un ricovero o di un brutto intervento. Eppure molto spesso il mondo che si cela dietro quelle divise bianche e azzurre, resta un mistero. Se c’è una professione che è cambiata profondamente negli ultimi anni, questa è proprio quella dell’infermiere che oggi può vantare una maggiore autonomia e responsabilità rispetto al passato. Peccato che insieme ai riconoscimenti non siano arrivate pari gratificazioni: se fino a qualche anno fa era un posto facile e sicuro, oggi – ancora di più con i tagli alla sanità – il blocco delle assunzioni (1.600 gli infermieri in tutta l’Ausl di Rimini) e il precariato sono sempre più frequenti.
Ne parliamo con Maria Luisa Ciurlia, presidente provinciale del Caps (Collegio Aziendale delle Professioni Sanitarie) e infermiera in ambulanza.
In cosa è cambiato il vostro ruolo?
“Da quando l’infermieristica è diventata materia di insegnamento universitario, il nostro non è più un mestiere, ma una professione. L’ambito delle attività non è più elencato dal Mansionario, che qualificava l’infermiere come semplice esecutore di compiti, ma dal Codice deontologico. Di conseguenza, non siamo più una figura sottoposta al medico, ma in base alla formazione acquisita, operando secondo una precisa letteratura scientifica e nel quadro di un determinato piano assistenziale, abbiamo tutte le carte in regola per operare in autonomia con una nostra responsabilità civile e penale”.
Per capire meglio, l’infermiere può opporsi alla somministrazione di un farmaco se lo ritiene dannoso per il paziente?
“Sì, può e deve. È obbligato a conoscere i farmaci, anche se non può prescriverli”.
<+nero>La tecnologia quanto spazio ha lasciato al rapporto con il malato?<+testo_band>
“Il paziente si aspetta spesso da questa figura una forte attenzione al rapporto umano oltre alla competenza. Ma questo rapporto, purtroppo, può essere trascurato. Con il blocco dei turn over degli organici, siamo costretti a lavorare in forze sempre più ridotte”.
Quali sono le maggiori problematiche oggi?
“Oltre al problema degli organici, la legislazione italiana è ancora carente in moltissimi aspetti. La nostra professione è poco riconosciuta in termini economici se consideriamo il carico di responsabilità maggiore rispetto al passato. Seppur nella media, le retribuzioni sono lontanissime da quelle di un dirigente o di un medico e si avvicinano di più a quelle di un operatore socio-sanitario. Eppure ci sono settori come il pronto intervento (io lavoro sulle ambulanze) dove l’infermiere è spesso da solo, il medico interviene solo nei casi più gravi. Siamo abituati ad essere ’sudditi’, tendiamo poco a ribellarci come categoria, anche perché siamo la figura più vicina al paziente. Non potremmo mai permetterci di fare uno sciopero!”.
Oggi ci sono reali possibilità lavorative per un giovane che completa la formazione?
“Gli sbocchi ci sono, ma non più come in passato. Ci sono più persone che si offrono e, viceversa, si fanno meno concorsi. Fino a qualche anno fa erano le aziende sanitarie a venire a cercarti all’università, oggi i ragazzi fanno fatica a trovare un impiego, aumentano i disoccupati e i contratti a tempo determinato. Nel Pubblico, poi, assistiamo a un vero e proprio blocco del turn over. Per ogni cinque persone che se ne vanno, ne viene assunta solo una. Ne derivano molti disagi nei reparti considerando anche che la maggior parte del personale è femminile, quindi ci sono molte maternità. Per non parlare dei tanti permessi dovuti alle ore di formazione”.
Dal 1° gennaio 2014 sarà Ausl unica con Forlì-Cesena e Ravenna. Temete tagli o trasferimenti?
“Sì, nonostante ci sia stato assicurato che in alcuni reparti potremo stare tranquilli. Le preoccupazioni ci sono, è ovvio. Se saranno accorpate delle funzioni sarà inevitabile per molti di noi trasferirsi. In molti casi è già successo. E temiamo tagli per il personale a tempo determinato. Nel 2013, per la prima volta in assoluto, la Regione ha destinato meno soldi alla sanità rispetto all’anno precedente. Per Rimini si parla di 18 milioni di euro in meno rispetto al fabbisogno. Per il resto non sappiamo nulla di più: l’Ausl unica è un po’ un salto nel buio anche per noi”.
Potesse tornare indietro rifarebbe questa professione?
“Certamente sì. È un ruolo molto gratificante: partendo dal presupposto che siamo professionisti a tutti gli effetti, ti dà la possibilità di crescere professionalmente e umanamente. Con lo sguardo sempre diretto verso il bene del paziente”.
Alessandra Leardini