Ne ha fatto di strada da quando mieteva vittime con le sue imbarazzanti “interviste interrotte” per Le Iene (2001 – 2011) o girava per Mtv Il Testimone con una telecamera amatoriale (2007).
Lui è Pierfrancesco Diliberto, palermitano, classe 1972, meglio conosciuto come Pif.
Questo eterno ragazzo, faccia pulita e sorriso dolce, che sembra sempre un po’ imbarazzato e fuori posto, è oggi un affermato regista, passione tramandata dal padre; un sogno che ha perseguito con tenacia. E «se ce l’ho fatta io in questo Paese – dice – vuol dire che c’è speranza per tutti».
Pif, gli esordi con Zeffirelli
Gli esordi non sono facili. Da giovanissimo assiste Franco Zeffirelli dedicandosi in realtà alla sua amatissima cagnetta Blanche. «Un’esperienza meravigliosa che mi ha permesso di stare accanto al regista», ricorda. Da Palermo poi vola a Londra dove, per pagarsi un corso di Media Practice, lava anche i cessi: «Ne ho ricavato una lezione enorme. Poi ti ricordi tante cose». Pif era di casa a Rimini per motivi sentimentali, ma non parliamo di questo.
… che Dio perdona a tutti,
Il romanzo di Pif
Il tuo ultimo libro, … che Dio perdona a tutti. È una storia d’amore tra i due protagonisti – Flora molto credente e Arturo credente “come tutti” – fa riflettere sul tema della fede. Quanto c’è di personale?
«Io ho avuto un’educazione cattolica: ho fatto il chierichetto, le elementari dalle suore, ho visto 8 volte “Marcellino pane e vino”, ho un curriculum impeccabile. Poi, ad un certo punto, ho pensato che da adulto era più coerente smetterla di dire di essere cristiano se alla fine non faccio una serie di cose: non vado in chiesa, non credo nei miracoli, non sono sicuro che Dio esista, anche se non posso neppure dire il contrario…»
Quindi?
«Io sono un agnostico, ma spero che Dio esista. Paradossalmente, da quando mi sono dichiarato, Dio è più presente. Quando tu dai per scontata la sua presenza non lo cerchi più. Credo che perfino il Papa si faccia più domande su Dio di quanto possiamo pensare. Nel libro, che ha un approccio da commedia, il tema di fondo è: cosa succederebbe se uno applicasse veramente la parola del Signore, soprattutto in questo periodo?»
Oggi se si pratica il Vangelo vieni considerato un buonista
Arturo parte all’attacco, decidendo di diventare un cattolico praticante come vorrebbe Flora. E qui cominciano i problemi. La via del Vangelo secondo te è possibile viverla nella società attuale?
«Oggi se uno pratica la parola del Signore viene scambiato per un buonista. San Francesco sarebbe considerato un buonista radical chic, perché figlio di ricchi che finge di fare il povero, oppure un estremista. Amare il prossimo come te stesso ha un senso molto più complesso di quello inteso da alcuni nostri ministri, che per “prossimo” intendono il prossimo a sé, cioè aiutare prima gli italiani. Il prossimo è prossimo di qualunque colore, etnia, e capisci che è difficile amare il prossimo in questo modo, eppure questo ci chiede.»
Anche quando è sporco, puzzolente e magari insistente?
«Se pensi che alla fine San Francesco si avvicina alla parola del Signore andando dai lebbrosi – e i lebbrosi in quel periodo erano come i nostri extra comunitari, i nostri Rom – faceva la cosa più scomoda che in quel momento la società poteva vivere. Se non ti è facile farlo, non ti dichiarare cristiano come fanno certi politici.»
Cos’è, un libro denuncia sull’ipocrisia di chi si professa in un modo e poi vive in un altro?
«Se gli italiani fossero veramente cristiani non ci troveremmo nella situazione in cui siamo, non ci sarebbe tutta questa corruzione, non ci sarebbero le mafie. È un dato di fatto.»
«C’è qualcuno che non vorrebbe ricordare…»
Anche quando affronti temi come la mafia lo fai con il sorriso e quell’ironia che ti caratterizza. Perché questa scelta?
«È il mio modo di raccontare le cose. Mi piace sdrammatizzare, quando si può. Se si smette di sorridere significa che è finita. È una cosa spontanea. Poi, se parlo di mafia, mastico una materia ahimè familiare e capisco dove fermarmi.»
Si dice che la mafia c’è ma non si vede. È ancora così o il sacrificio di molte persone è servito a qualcosa?
«In realtà la mafia non si vede perché non la si vuole vedere, perché è faticoso, più impegnativo. Fingi di equivocare, ma non è così difficile da vedere. Fino a qualche tempo fa se a Palermo ti rubavano il motorino, invece di andare dalla polizia andavi dal mafioso del quartiere, pagavi un riscatto e riavevi il motorino. In quel caso Falcone e Borsellino sono morti inutilmente, dipende dai nostri gesti.»
Il protagonista de La mafia uccide solo d’estate porta il figlio per Palermo a vedere le targhe con i nomi di chi è morto lottando per sconfiggere la mafia.
«Girando l’Italia mi rendo conto che è piena di persone che fanno cose straordinarie. Rischiano veramente la vita, ma incredibilmente sono storie che pochi conoscono. Oggi se a Palermo si può aprire un negozio senza pagare il pizzo, cosa impensabile 20 anni fa, è grazie al lavoro di migliaia di persone, e alcune di queste non ce l’hanno fatta: non possiamo dimenticare quello che è successo. E c’era qualcuno che non voleva ricordare nemmeno i partigiani. Lì è la storia che insegna.»
Come personaggio pubblico che responsabilità senti nel risvegliare le coscienze?
«Mi sentirei un uomo orribile se non facessi qualcosa. Io voglio morire con la coscienza a posto e dire: “Ho fatto tutto quello che potevo”. Mi rivedo molto in ciò che diceva un prete che ho intervistato: “Non so se riuscirò a cambiare questo mondo ma di sicuro questo mondo non cambierà me”.»
Oggi con papa Francesco che idea di Chiesa ti sei fatto?
«È la Chiesa di papa Francesco che mi ha ispirato il libro. A me sembra quella vera, quella più difficile, quella reale e faticosa. Sono convinto che papa Francesco, oltre ad essere molto amato, sia anche molto odiato, soprattutto all’interno della Chiesa cattolica, proprio perché sta dando concretezza alla parola di Dio. Una concretezza che anche uno che non ha studiato percepisce. Per noi agnostici è un Papa giusto per metterci in crisi.»
Nel libro troviamo una citazione: «Predica il Vangelo e se necessario anche con le parole».
«È una frase attribuita a San Francesco e spero che l’abbia detta veramente lui. San Francesco e santi laici come Giovanni Falcone e Rocco Chinnici mi mettono in crisi perché hanno fatto cose che potrei fare anch’io. E quando incontri uno che ha fatto una cosa grandiosa ed è esattamente come te, ecco, quella è una cosa che mi mette in crisi e mi avvicina molto alla fede.»
Ma sei sicuro di essere veramente agnostico?
«Sì, ma come mi definì un giornalista: un “agnostico francescano”.»
Nicoletta Pasqualini (Sempre)