Diceva una vecchia canzone francese: che cosa resta dei nostri amori? Anche la politica è sentimento: quale immagine ci lasceranno di loro i nostri Sindaci? Quello di Rimini, Andrea Gnassi, ha tentato il salto in lungo, sollecitato da Lilli Gruber. A lei si è presentato dimenticandosi di cambiare abito. Le vesti che vanno bene a Rimini tra Palazzo Garampi ed il ponte di Tiberio, dove i suoi amici vanno a prendere il caffè, sono inadeguate quando chi osserva vive fuori dalle nostre mura in una platea nazionale.
Oggi i giornalisti hanno caricato i Sindaci di una missione impossibile, mettersi in concorrenza con i segretari dei loro partiti. La necessità di fare spettacolo con le notizie, crea fantasmi che s’aggirano nelle nostre notti, con cortei fatti di pie illusioni e di vere rogne. Ci ha provato uno, il Renzi da Firenze? Allora ci possono provare tutti, pensano le migliori menti della cronaca politica nazionale.
Lo sventurato Gnassi, sedotto dalle luci, rispose alla frizzante Gruber con quel paradosso della Rimini piccolo borgo, che è un’immagine crepuscolare ed evanescente, come il salotto di Nonna Speranza, con il pappagallo impagliato, le scatole senza confetti, o la casa della Signorina Felicita ed il suo odore d’abbandono desolato.
Rimini, quella vera, non s’identifica nell’immagine di piccolo borgo, non lo è mai stata. La colpa non è tutta di Gnassi. Egli è stato messo sulla cattiva strada dalla spicciola cronaca da bar in cui tutto si crea e tutto si distrugge soltanto per passare il tempo, senza stare troppo impegnati con la testa. Da quella spicciola cronaca da bar deriva anche il motto elettorale con cui Gnassi si presentò l’anno scorso alle urne: “Me gnint… e te?”. L’oscura frase ha un suo luminoso passato, essendo stata tramandata ai posteri da un illustre tecnico delle luci, Pasquini E’ Nein, il quale la narrava con orgoglio nel tentativo di far credere di essere riuscito con quelle parole a smontare il mito di Federico Fellini.
I fatti andarono così. Il grande registra di passaggio a Rimini incontra Nino e gli chiede, con la solita voce soave: che fai di bello? Ed il Nino, tanto per spiegare al Grande Concittadino che nulla valgono i meriti conquistati, se ne uscì appunto con quelle parole (“Me gnint… e te?”) che dovrebbero essere, secondo alcuni, una lezione di alta filosofia morale. E che ci sembrano piuttosto il giochetto ironico di chi vuole soltanto demistificare gli altri per prenderne il posto. [1085]
Antonio Montanari