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Chi abita le nostre case popolari? Tra chi sostiene che le case popolari vengono affidate solo agli stranieri e chi si affida solo a sensazioni e sentito dire, c’è chi non si ferma alle impressioni e alle parole ma analizza i fatti restituendo all’opinione pubblica risposte concrete e strumenti per capire il cambiamento in atto.
Si è mossa in quest’ottica la relazione diffusa da Riccardo Fabbri, presidente di Acer Rimini, a fine 2017 per parlare di bilanci ma, soprattutto, per dare delle chiavi di lettura a un fenomeno che sta cambiando: quello dell’affidamento e del mantenimento delle case popolari. Abbiamo chiesto al presidente di ripercorrere insieme a noi alcune delle tappe fondamentali di questo documento.
Fabbri, lei fa un’analisi molto puntuale di quello che capita nelle case popolari del nostro territorio, partendo dal tema della povertà. C’è bisogno d’aiuto?
“I poveri, le persone sole e malate che bussano alla Caritas e da altre parti li troviamo molto spesso nelle stesse case popolari gestite da Acer. Il diario giornaliero dei nostri ispettori ci riporta una quotidianità dove cresce il disagio, si alimentano i conflitti e diventa sempre più problematica la stessa convivenza tra i diversi nuclei familiari. Si instaurano elementi che cozzano con la stessa idea, tanto corretta quanto ottimista, di un pubblico che mette a disposizione l’alloggio per far fronte ad un bisogno temporaneo ed in attesa di un’emancipazione da difficoltà economiche transitorie. Un’emancipazione che rischia di non avvenire mai”.
Il suo sembra il racconto di una storia che non ha vie d’uscita.
“Vi sono dinamiche generali rispetto alle quali si è, oggettivamente, spettatori impotenti; vi è una difficoltà da parte dell’intero sistema pubblico di reggere un urto che pare decisamente superiore rispetto alle risorse che è possibile mettere in campo. La nostra opinione è che si debba fare leva su due concetti: comunità e inclusione”.
Sono solo parole?
“No, è un dato oggettivo. Anche in un’area sostanzialmente compatta come quella rappresentata dalla provincia di Rimini, non c’è dubbio che laddove è più robusto il reticolato delle relazioni sociali, dove è meno evidente l’anonimato, i problemi sociali e la stessa conflittualità sono più ridotti. Le norme, i regolamenti, i codici di comportamento… possono davvero poco. La verità è che a fare la differenza è l’interiorizzazione delle norme sociali, un processo che avviene attraverso la socializzazione e che non può essere sostituito con il (necessario) rigore delle norme o con pistolotti pseudo educativi. Non è realistico che Acer o i servizi sociali dei comuni riescano a sostituirsi a carenze che traggono origine dalla socializzazione familiare e, più complessivamente, dai valori che trasmette la nostra società. Se le cose stanno così, una risposta possibile risiede nella capacità di mettere in campo opportunità educative concrete”.
Ci sono esperienze in merito?
“Il laboratorio più significativo di cui disponiamo riguarda il complesso abitativo realizzato a Tomba Nuova (nome di per sé già infausto) di Rimini. Qui, a seguito di un conflitto tra nuclei familiari degenerato fino al coinvolgimento della forza pubblica, è stata attivata la mediazione sociale e, in collaborazione con il Comune, è stato costituito un gruppo di CI.VI.VO aperto anche ai vicini residenti delle abitazioni private. In questo stesso contesto, tuttavia, piace ricordare la raccolta di firme a favore della permanenza della famiglia sinti coinvolta, in maniera incolpevole, nel conflitto di cui sopra”.
Viviamo in una società in difficoltà….
“Sì, è una consapevolezza. Cancellare tutti gli oneri ed i costi di amministrazione e manutenzione addebitati agli assegnatari, con riguardo alle specifiche situazioni gestionali e contrattuali, produce un alleggerimento dei costi sugli inquilini e, per altri versi, aiuta a contenere la morosità che, pur rimanendo entro soglie ancora accettabili (è, ad oggi, pari al 12%), permane uno dei fattori con i quali dobbiamo certamente continuare a fare i conti nei tempi a venire”.
Come vanno i conti dell’Acer?
“I conti di Acer sono in ordine, a partire dalla previsione di un attivo di esercizio che consente di far fronte a possibili esigenze straordinarie.
E, tuttavia, è un bilancio che richiede una costante prudenza gestionale, non consente di immaginare ampliamenti che pur si renderebbero necessari a seguito della stessa aumentata complessità del lavoro a cui siamo chiamati. L’invecchiamento progressivo di una parte non marginale del patrimonio edilizio Erp reclama un’attenzione crescente all’attività di manutenzione; la gestione della conflittualità e delle problematiche di disagio che caratterizzano in maniera ben più rilevante rispetto al passato i nuclei assegnatari richiederebbero un numero più adeguato di ispettori dedicati ai controlli; Acer Rimini, a differenza di quasi tutte le altre, ha scelto di non dotarsi nella propria pianta organica della funzione di mediazione sociale; e così via. Ma va pur detto che tutti i parametri disponibili ci dicono di una struttura che svolge con buona efficienza i propri compiti”.
Una delle principali denunce fatte al sistema è che non vi siano adeguati controlli e che le case popolari vengano occupate da persone che non ne hanno un reale bisogno. Cosa può dirci in merito a questo?
“Per quanto ci riguarda la legalità è una componente indissolubile da equità e rispetto dei diritti dei più deboli. Ribadiamo che chi nasconde redditi o ricchezze per ottenere benefici pubblici non dovuti o chi utilizza scorciatoie di altro tipo occupando abusivamente un alloggio nel diritto di altri, non è un furbo, è tecnicamente e moralmente un criminale. Per questo dispiace rilevare come, a fronte di un’operazione condotta dalla Polizia di Stato insieme alla Procura e in sinergia con Comune di Rimini ed Acer, per quanto di competenza, che ha portato a liberare in tempi rapidi l’occupazione abusiva di un alloggio in via Acquario da parte di un soggetto di comprovata caratura criminale, la richiesta di risarcimento avanzata da Acer per i danni arrecati al patrimonio pubblico (debitamente documentati) sia stata respinta dal Tribunale di Rimini per tenuità del danno”.
Su cosa dobbiamo lavorare, presidente, per migliorare?
“Abbiamo risorse scarse e problemi grandi da affrontare. Il rischio, anche legittimo, è diventare schiavi di limiti oggettivi e di una routine dignitosissima che arriva dove può. Mi chiedo se, invece, unendo le forze non si possa provare a sperimentare strade nuove prendendoci, consapevolmente, qualche rischio in più. E penso, ancor di più, all’utilità di un momento di condivisione libera e comune di pensiero in cui mettere insieme specialismi, esperienze istituzionali, esperienze del privato sociale e verificare la possibilità di praticare anche nuove vie per risolvere problemi con i quali non possiamo illuderci di non dover convivere ancora per un lungo tempo”.
Angela De Rubeis