Premesso che non sono razzista… Parole che coi tempi che corrono potrebbe essere l’incipit anche del Mein Kampf. Ogni giorno di più viviamo in un clima di aperta xenofobia, come se l’espressione di odio razziale nei confronti dei migranti o delle minoranze, con linguaggi e purtroppo anche con gesti violenti, non fosse più un tabù, ma una cosa legittima. Non è detto che sia il pensiero di molti, ma il silenzio di tanti è sempre più ambiguo, quasi connivente, un politically correct alla rovescio, quasi che i valori comuni che hanno segnato la nostra civiltà, all’improvviso siano diventati alternativi, come purtroppo suonano ogni giorno le parole di Papa Francesco, che pure fanno continuo riferimento ai principi cristiani e universali della fratellanza, dell’accoglienza dei più deboli, dell’amore quotidiano. Sempre più domina la cultura del nemico. La superficialità, la banalità, l’assenza di una vera analisi di ciò che accade, porta l’identità di tanti a fondarsi nel contrapporsi a chi è diverso da te. Se non hai un nemico non riesci a caratterizzare te stesso. E tutto questo è favorito da gruppi e personaggi che sostengono l’odio e lo usano, come già nel passato i peggiori hanno fatto. La richiesta dell’uomo forte, la delegittimazione del Parlamento (con un’ipotetica ed eterea democrazia diretta), la spinta ultranazionalistica hanno sempre più troppe similitudini con vicende passate, davvero molto poco incoraggianti. Nei dibattiti pubblici, in tv, sui social, c’è sempre un “noi” contro “loro”. I migranti, più deboli, diventano il capro espiatorio di tutti i mali: rubano i posti di lavoro, sono violenti e criminali, approfittatori e falsi. Tutti, non qualcuno. La crisi ha accresciuto paure e incertezze. Certo non si possono negare i problemi, le difficoltà, gli errori e la superficialità, le responsabilità, ma la cultura razzista è folle e stupida. Occorre dirlo e anche a voce alta. Ai responsabili della cosa pubblica è richiesta una posizione decisa di denuncia di ciò che è cultura di divisione e morte. Ne va del nostro futuro. Ci vuole più coraggio, anche nella Chiesa, che è in difficoltà, disorientata, di fronte a questo crescere di pensiero che, in origine, nega la fraternità, ormai sempre più recitata e sempre meno vissuta. Come disorientato è ciascuno di noi di fronte al montare di una propaganda arrogante ed esplicita. Bisogna tornare a parlare, spiegarsi, confrontarsi, anche a voce alta, se serve. Non importa l’idea politica, o quale soluzione si intenda offrire ai tanti problemi che ci affliggono. Importa che ciascuno abbia come riferimento almeno i dettami della nostra Costituzione e per noi cristiani, la parola del Vangelo. Non quelle di un tweet.
Giovanni Tonelli