Come pensiero d’ingresso, dopo avere sinceramente significato un grazie limpido e cordiale per l’invito rivoltomi, mi servo di un passaggio di Henry de Lubac, formulato dal grande teologo francese, nel suo celebre Il dramma dell’umanesimo ateo, finito di scrivere nel Natale 1943, quando Parigi era ancora sotto l’occupazione nazista: “Non è poi vero che l’uomo sia incapace di organizzare la terra senza Dio. Ma ciò che è vero è che, senza Dio, egli non può, alla fine dei conti che organizzarla contro l’uomo”. È questa la certezza di fondo che sostiene e mantiene ad alta quota la nostra passione di credenti per la Città: noi siamo tenacemente convinti che la fede cristiana non è estranea, né tanto meno concorrenziale alla città dell’uomo, ma è la sua più leale, disinteressata e convinta alleata.
Già in occasione del Corpus Domini del 2008 avevo sollecitato i fedeli laici della Chiesa riminese a coinvolgersi nel pianificare il futuro della Città e affermavo: «Dare un’anima alla città significa testimoniare una fede che genera una carità operosa e un impegno sociale che non può e non deve conoscere limiti». L’attenzione complessiva della Chiesa riminese, e mia personale al Piano Strategico di Rimini e del suo territorio che ha trovato in questi ultimi due anni una sua concretizzazione formale in un documento – frutto conclusivo di diverse tappe di lavoro, ricerca e confronto – è stata ed è animata innanzitutto da questa profonda corresponsabilità alla costruzione del bene comune nella nostra Città.
Sulla base di questi presupposti, alcuni rappresentanti laici delle associazioni cattoliche hanno avvertito l’urgenza e la responsabilità di corrispondere alle molteplici sollecitazioni messe in atto dal Piano Strategico, nel tentativo di assicurare una loro presenza, garantire con coerenza l’elaborazione di orientamenti e proposte, offrire un contributo specifico alla costruzione del bene comune, favorendo una cultura della gratuità e della fraternità, in un orizzonte di quella solidarietà, definita dal Papa come un “sentirsi tutti responsabili di tutti” (CiV 38).
L’avvio del processo di pianificazione strategica ha messo in atto nella Città una rinnovata consapevolezza della sua storia, una presa di coscienza più matura dei propri limiti e talora anche degli errori compiuti, ma soprattutto ha generato un nuovo orizzonte di speranza e la messa in gioco di valori condivisi orientato alla costruzione di un ethos che dia senso al proprio futuro. Sia pure tra tante difficoltà, ciò che il Piano Strategico ha tentato di operare è anzitutto un profondo mutamento culturale frutto del processo di “elaborazione collettiva e partecipata” incentrato sul capitale umano e sociale della Città. Non compete a me, soprattutto in questa sede, entrare nel merito delle molteplici questioni indagate e attentamente studiate nei diversi Forum e Gruppi di Lavoro, sulle analisi di contesto, sugli attori e l’importante metodologia sperimentata in questo processo, né tocca a me valutare gli specifici contenuti elaborati conclusivamente nei cinque ambiti nei quali si struttura l’azione del Piano.
Mi limito semplicemente a richiamare alcune istanze di fondo, di carattere antropologico, culturale e spirituale, trasversali all’intero Progetto, e che in qualche modo potrebbero essere considerati come i tratti invisibili dell’ordito che devono sorreggere la trama visibile del Piano. L’insieme di questi tratti, mi pare siano riconducibili ai due pilastri portanti dell’architettura del Piano strategico: la “vision” (centralità della persona nella sua individualità e nei ruoli sociali che ognuno svolge) e la “mission” (Rimini, terra di incontri).
Punto di partenza di ogni riflessione che riguardi lo sviluppo strategico della Città del prossimo futuro non può che essere la centralità della persona, il rispetto e la tutela della sua vita – dal concepimento fino alla morte naturale – la promozione della sua dignità, delle sue libertà fondamentali – di religione, cultura, educazione – dei suoi diritti inalienabili, sinteticamente espressi nel diritto ad un lavoro dignitoso e giustamente retribuito; nonché la promozione di autentiche relazioni interpersonali. Valori irrinunciabili, non negoziabili né selezionabili, sono per i cattolici – ma in tanto in quanto questi valori sono a favore dell’umanità e della vivibilità di una città dell’uomo che voglia essere veramente a misura d’uomo – anche l’accoglienza dei migranti, la promozione della pace, il rispetto del creato. Tra parentesi: non posso riprendere i valori elencati in questo indice sintetico, ma ritornando sul valore fondativo e sintetico – la dignità della persona umana, irriducibile a qualsiasi condizione e indisponibile a tutte le strutture e a tutti i poteri, vorrei almeno accennare a qualche ricaduta estremamente concreta. Penso ad esempio a problemi come la casa, la scuola, il verde, il traffico, come più in generale alla questione ecologica…
Ripartire dalla persona, dal suo essere in relazione, significa anche ridare cuore e slancio a una democrazia viva e matura che sappia riconciliare persona e sviluppo, comunità e istituzioni, traendo ispirazione per un nuovo modello di politica, di etica e di economia. Porre al centro dello sviluppo culturale, sociale, politico ed economico della Città i valori costitutivi della persona significa al tempo stesso promuovere tutte quelle manifestazioni della sua autonomia quali sono i corpi sociali intermedi, a partire dalla famiglia, fondata sulla legittima unione fra un uomo e una donna.
Altro presupposto del ripensamento della Città è la cultura, intesa come orizzonte di senso e accrescimento di sapienza per la vita. Dalla cultura dipende il futuro della nostra Città, come pure dall’investimento in termini di formazione, educazione, ricerca, conoscenza, innovazione… Siamo infatti convinti che la sfida del tempo presente è quella culturale, poiché «senza cultura non c’è umanità» (Giovanni Paolo II), ed è solo mediante la cultura che la persona può costruire la propria identità, plasmare la propria visione del mondo e del suo essere-in-relazione con gli altri, con l’ambiente, con il mondo.
Di fondamentale importanza a questo riguardo è l’investimento per una cultura dell’educazione. Siamo oggi di fronte ad una vera emergenza educativa che investe direttamente non solo l’ambito familiare ed ecclesiale, ma anche la vita civile, istituzionale, politica e sociale. In questa prospettiva affiora con rinnovata urgenza la necessità di dare concretezza ad una prospettiva pedagogica in grado di affermare la bellezza e la plausibilità delle dimensioni costitutive dell’essere: la persona, l’interiorità, il senso, il dono di sé, la libertà, la responsabilità, la gratuità. Di fronte alla dilagante cultura della frammentazione e del relativismo, è urgente ritrovare il coraggio di proporre l’unità dell’atto educativo, che nella coscienza delle persone e delle istituzioni consenta di tenere insieme, in una continuità dinamica e creativa, senso, cultura e vita.
Uno dei punti di convergenza di queste diverse prospettive incentrate sul primato della persona da consegnare alla Rimini del futuro è la valorizzazione della bellezza in tutti i suoi aspetti, relazionale, ambientale, culturale e spirituale. La ricerca della bellezza quale criterio sul quale progettare la città ha rappresentato per secoli uno dei valori costitutivi della Civitas, purtroppo sempre più trascurati negli ultimi decenni a vantaggio di logiche immediate di resa produttiva e/o di scelte utilitaristiche. Spesso ridotta alla sfera dell’emozionale, dell’apprezzamento soggettivo e persino dell’arbitrio, la bellezza in rapporto alla città ha perso progressivamente il suo contenuto estetico, simbolico, spirituale, relazionale. Eppure, come è stato colto con sensibilità impareggiabile da Dostoevskij, snodo decisivo del pensiero moderno e contemporaneo, la premura per la bellezza investe il problema dell’uomo e del suo destino. Questo significa anche restituire un senso complessivo di equilibrio e di armonia al tessuto della vita civile, relazionale, ambientale, oggi sempre più lacerato e compromesso. Contribuire all’edificazione di una “città bella”, preservando i suoi tesori, le sue forme, l’ordine e le proporzioni tra i diversi elementi compositivi e l’ambiente che li accoglie, significa anche edificare un ethos attorno al quale una comunità si riconosce nella sua identità, memoria e creatività.
Con il Piano Strategico il principio di sussidiarietà orizzontale, ed il conseguente coinvolgimento della società civile, entra “dentro” la pianificazione strategica, nella fase decisionale di progetto e ideazione della Città, coadiuvando il lavoro della politica con l’obiettivo di offrire un “respiro” all’azione dell’amministrazione locale. Per dare questo respiro, occorre “dare ossigeno” alle decisioni politiche sul futuro della città, per far sì che rispecchino le persone, le loro scelte, le loro preferenze, la fraternità e la reciprocità, la bellezza e la cultura, per riportare la polis alle sue radici più vere, arrivando ad incidere sulle scelte che stanno a monte del processo decisionale politico-amministrativo e garantendone una piena trasparenza nei confronti della città. Partecipazione e trasparenza diventano così le parole chiave dei prossimi capitoli della storia della nostra Città.
Vorrei terminare con un pensiero rivolto ai giovani: li costringeremo al ruolo marginale di spettatori passivi della Città futura che essi si ritroveranno a dover vivere o sapremo coinvolgerli come partners attivi e creativi nel disegnare il profilo della città futura? Siamo noi adulti i responsabili… irresponsabili che li hanno indotti a pensare che “life is now”. Ma se è vero che il deficit di futuro è direttamente proporzionale al deficit di memoria, una domanda non può rimanere sospesa: sapremo noi adulti superare la tentazione di certo giovanilismo ridicolo e patetico, e testimoniare che – come ha scritto Gadamer – “il futuro dipende dalle origini”?
+ Francesco Lambiasi