Nei giorni scorsi ho proposto, in assemblea giovanile parrocchiale, con i ragazzi delle superiori, un’attività in occasione della Giornata della memoria. Il gruppo si è diviso: i più grandi decisamente favorevoli, i ragazzi del Biennio fortemente contrari. Un po’ preoccupato, ho sondato i loro umori: “No, don, basta! È dalla prima media che sentiamo le stesse cose”; “Vedere quelle immagini mi fa male”; “A me non dice più niente”. Sono ragazzi di 15 anni, e già stanchi di certi temi.
Personalmente sono già andato due volte ad Auschwitz e credo che ci tornerò, in un pellegrinaggio che ogni volta mi rigenera nell’impegno civile. Resto dunque disturbato dalle affermazioni dei ragazzi, ma li conosco, ne conosco la serietà, la generosità… Di fronte a questa reazione, dunque, è opportuno riflettere sulla scelta di celebrare comunque e sempre la Giornata della memoria, soprattutto nelle scuole.
La Giornata della Memoria è un appuntamento obbligato, da calendario. E già questo lo “espone” a tutti i rischi legati all’“obbligo”, affrontato magari con poca preparazione. Senza considerare la ritualizzazione che accompagna queste ricorrenze, ricca spesso di una retorica mancante di una vera riflessione, che banalizza e svuota di contenuti e di significati.
La Shoah è la più perfezionata macchina di distruzione fisica mai pianificata, ricca di un enorme carico emotivo fatto di immagini e numeri che schiacciano e a volte traumatizzano, specie i più giovani.
Per altri la reazione è opposta. Alla lunga molti ragazzi sempre più abituati come sono alla violenza estrema e immotivata (si pensi alle fiction televisive, ai film, ai videogames) accettano senza “scandalo” ciò che vedono; tutto viene in qualche modo ingerito, digerito e velocemente espulso, e in questa dimensione niente “esiste” più davvero, e spesso non si è più neppure capaci di distinguere la realtà dalla finzione prodotta per puro spettacolo. Ne emerge un profilo esattamente opposto a quello cui la “Giornata” vorrebbe educare: atteggiamenti di freddezza, cinismo, incapacità di avvertire empatia con tragedie umane individuali e collettive. Il rischio è grave in un tempo in cui anche il Papa ogni giorno denuncia la “globalizzazione dell’indifferenza”. Allora niente Giornata della memoria a scuola? Tutt’altro. Occorre però che sia chiaramente legata ad un percorso educativo, continuo e graduale, che giunga ad “età adulta”, quella degli ultimi anni delle scuole superiori, quando il ragazzo ha più strumenti storici, culturali, emotivi e civili per capire e tradurre il dramma di tanti innocenti.
Giovanni Tonelli