Qualche tempo fa il poeta spagnolo Antonio Machado Ruiz ha detto: “viaggiatore, non c’è sentiero, il sentiero si fa mentre cammini”. E c’è chi, di strada, ne ha percorsa parecchia. Australia, Danimarca, ora Regno Unito: sono le tappe del lungo viaggio di Alice Fabbri, classe 1983, attualmente una riminese all’estero. Dopo aver trascorso la sua infanzia e adolescenza a Santa Giustina (frazione di Rimini) e aver frequentato il Liceo Classico, ha conseguito la laurea in Medicina a Bologna. Con un obiettivo ben preciso da raggiungere, tanta grinta e anche tanto coraggio, ha fatto le valigie e ha lasciato l’Italia, iniziando a costruire il suo cammino.
Qual è il motivo che ti ha spinta a partire? Da quanto tempo vivi all’estero?
“Dopo la laurea in Medicina e la scuola di specializzazione, nel 2015 ho lasciato l’Italia. Il motivo che mi ha spinto a partire era il mio desiderio di fare ricerca su temi che purtroppo nel nostro Paese non vengono molto trattati, ovvero quelli relativi ai determinanti commerciali di salute. Mi occupo di esplorare i conflitti d’interesse in salute e in particolare analizzo come le grandi multinazionali (del tabacco, dell’alcol, e dei cibi ultra-processati) influenzino negativamente la salute umana e planetaria sia direttamente attraverso i loro prodotti, sia indirettamente attraverso numerose strategie commerciali. La passione per questi temi mi ha spinto a cercare gruppi di lavoro che se ne occupassero”.
Perché proprio il Regno Unito?
In realtà mi sono trasferita inizialmente in Australia. All’Università di Sydney lavorava una Professoressa con grande esperienza sul tema dei conflitti d’interesse in salute che ha accettato di accogliermi nel suo gruppo di lavoro. Al tempo stavo svolgendo il dottorato in Italia e non smetterò mai di ringraziarne il direttore, che ha supportato il mio desiderio di andare a formarmi all’estero. Dopo aver trascorso alcuni anni in Australia, ho deciso di rientrare in Europa per essere più vicina alla mia famiglia. Sono stata prima in Danimarca e poi mi sono trasferita in Regno Unito dove attualmente lavoro, presso l’Università di Bath. Questi ‘traslochi internazionali’ sono sempre stati guidati dal mio desiderio di inseguire opportunità di lavoro che mi permettessero di continuare a fare ricerca sui temi che mi stanno a cuore”.
Quali erano le tue aspettative quali di queste si sono realizzate?
“Desideravo imparare a fare ricerca sui temi specifici di cui ho parlato, e le mie aspettative sono state non solo realizzate, ma superate. Ho avuto la fortuna di incontrare colleghi e mentori di grande valore non solo professionale ma anche umano, che piano piano sono diventati amici e importanti punti di riferimento per me. Sono stata veramente fortunata perché ho trovato gruppi di ricerca che mi hanno fornito numerose occasioni di crescita. Inoltre, la possibilità di lavorare in ambienti accademici internazionali con colleghi provenienti da vari Paesi è stata una fonte di arricchimento personale incredibile. L’aspetto, se vogliamo, negativo di questa vita nomade è quello di avere la percezione di non possedere più propriamente una casa. Questa sensazione è per me riassunta benissimo da una frase che ogni tanto rileggo di Miriam Adeney che tradotta in italiano più o meno dice: ‘Non sarai mai più completamente a casa, perché parte del tuo cuore sarà sempre altrove. Questo è il prezzo che si paga per la ricchezza di amare e conoscere persone in più di un luogo’”.
Pensi che un ritorno in Italia potrebbe essere possibile?
“Mi piacerebbe molto tornare a lavorare in Italia sia per essere più vicina ai miei affetti, sia per riportare a casa quello che ho imparato negli ultimi anni. Vorrei provare a restituire al mio Paese ciò che mi ha dato negli anni iniziali della mia vita e della mia formazione. Purtroppo però dalle informazioni preliminari che ho raccolto, sembra che un inserimento nell’accademia italiana sia difficoltoso al momento. Quindi temo che se il desiderio di tornare a casa diventerà molto forte, dovrò cercare opportunità per fare ricerca in Italia fuori dal mondo universitario oppure mettere da parte l’attività di ricerca e cercare un diverso tipo di lavoro. Devo ammettere che speravo sarebbe stato più semplice tornare a casa”.