“Non si conserva nulla, senza conoscenza“. Ha esordito con queste parole, Valerio Pennasso, direttore dell’Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici e relatore del secondo incontro dedicato al “Presente e futuro dell’arte sacra”, organizzato all’ISSR Marvelli di via Covignano.
Con lui, l’architetto Johnny Farabegoli e Mons. Giancarlo Santi.
“Oggi il più aggiornato orientamento ci porta a parlare di conservazione preventiva e programmata – ha spiegato Pennasso – una vera e propria strategia di medio-lungo periodo che pone l’integrazione delle attività di conservazione e valorizzazione dei beni culturali alla base di un’efficace gestione. In questo modo, si è concretamente orientati alla prevenzione e alla cura costante del patrimonio culturale, secondo un processo di produzione di nuova conoscenza e di informazioni. Insomma, non è possibile slegare i concetti di conservazione, prevenzione, manutenzione, valorizzazione e comunicazione”.
Eppure oggi si tende ancora ad interpretare la conservazione come sinonimo di mantenimento e mera sorveglianza, come un concetto “congelato”, del tutto slegato da concrete misure di rilancio e di valorizzazione.
Su questo, Pennasso: “A me sembra che il nodo fondamentale sia il passaggio dal termine «manutenzione» a quello di «conservazione»: noi abbiamo a cuore la conservazione dell’autenticità materiale. Si cercano differenze e non difetti. Quel che dobbiamo proporci è l’implementazione di una cura fatta di attenzione, prevenzione e corretta gestione: i frutti di tutto questo lavoro sono la produzione di conoscenza, un’educazione più consapevole e lo sviluppo di capitale intellettuale e sociale, inteso come rafforzamento delle relazioni territoriali. Oggi sul portale beweb sono rappresentati i numeri di questa concreta “mappatura”: 224 diocesi coinvolte e oltre 4.000.000 di beni storici e artistici. Non si tratta solo di numeri e di oggetti, ma di racconti di vita, persone, parrocchie. Possiamo incontrare il racconto tangibile delle comunità che ci accolgono e ci fanno scoprire ciò che è loro più caro e significativo. La sfida è quella di amplificare la capacità dei luoghi della cultura di essere occasione di accoglienza e di incontro delle persone, delle culture, delle religioni”.
I beni culturali portano con sé molti valori con caratteristiche diverse fra loro, valori che si possono apprezzare a prima vista oppure scoprire quando ci si addentra in questo mondo vasto e diffuso. Fra i tanti valori, anche quelli pastorali, educativi, funzionali e narrativi, ambientali e paesaggistici che coinvolgono le città e il territorio. Nessuno di questi è prevalente, se non a partire dalle sue funzioni. E passare da un approccio di attenzione agli oggetti e alle cose, ai materiali e alle forme, al loro significato e funzione segna una svolta non soltanto nella conoscenza e tutela del patrimonio ma soprattutto nella valorizzazione.
Pennasso, su questo, ha specificato come il patrimonio culturale, inteso come volàno storico, culturale e sociale, possa rigenerare relazioni positive per l’attualità.
“Dare “valore” ai beni culturali – ha concluso – significa ripristinare il legame tra le cose e le persone, la storia, il paesaggio e la vita quotidiana che costruisce il futuro dei singoli e dei popoli. La vita delle persone e delle comunità locali sta alla base della valorizzazione che, a sua volta, richiede una visione complessiva dei beni culturali e una programmazione attenta per coordinare non solo le risorse all’interno della Chiesa (musei, archivi e biblioteche, edifici sacri o complessi monumentali), ma anche le realtà pubbliche e private presenti sul territorio. Dare valore significa vivere la festa del santo patrono non come una rappresentazione teatrale imparata e ripetuta, ma attesa e cercata perché la memoria della propria vita si intreccia con quella di tutti”.
Clara Castaldo