Noi non loro. Più che un titolo è un manifesto quello scelto per il primo convegno nazionale, promosso dal Servizio per la pastorale delle persone con disabilità della Cei. Sì perché anche nella Chiesa c’è bisogno di parlare di accoglienza piena, partecipazione attiva e cura reciproca dell’altro che non ponga barriere. Nella due giorni a Roma, a cui hanno partecipato oltre 300 persone, più che menzionare gli ostacoli, i relatori hanno cercato di trovare i punti di incontro per portare avanti un cammino condiviso. Come primo nodo c’è l’esigenza di porre tutti nelle condizioni di dare risposta ai propri bisogni.
Innanzitutto, avere una casa o la possibilità di accedere facilmente agli spazi.
“L’abitare è connesso ed è essenziale al tema del progetto individuale”, commenta il ministro per la Disabilità Erika Stefani che ha partecipato alla tavola rotonda dedicata alle forme dell’abitare. “ Nessuno – aggiunge – ha una sua vita se non ha individuato qual è la sua casa e la sua casa sarà decisa da lui stesso, valutando i vari profili e le sfaccettature poiché il lavoro non è disgiunto dalla casa o dai sostegni”.
Il ministro ricorda il percorso che sta proseguendo dopo l’approvazione all’unanimità da parte del Parlamento, nel dicembre scorso, la legge delega sulla disabilità che rappresenta l’attuazione di una delle riforme previste dalla missione 5 “Inclusione e Coesione” del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).
“Sulle risposte molteplici attese dalle persone disabili sul tema dell’abitare, apre suor Veronica Donatello, responsabile del Servizio che ha promosso l’evento: “ Nella sua diversità la disabilità ha mille sfaccettature, come le abbiamo tutti, e ha sicuramente delle caratteristiche intrinseche che modellano le forme dell’abitare, ma non sfugge alla necessità di risposte multiple.
Spostiamo – suggerisce – l’attenzione dal dove al perché. Restiamo aperti al fatto che quando si parla di esseri umani le risposte non possono essere univoche e insindacabili. Lasciamo che a parlare sia la vita e le necessità della persona con disabilità (con la specificità assicurata ad ogni essere umano) perché non c’è una risposta sola che garantisca le esigenze di tutti”. Al progetto di vita della persona con disabilità dovrebbero aderire tutti: dalle istituzioni alle diocesi, dai movimenti alle associazioni.
A sostenere questo lavoro di squadra è il segretario generale della Cei, mons. Stefano Russo, che in apertura del convegno esorta tutti gli attori della rete “ a interagire, confrontarsi, ascoltarsi e come dice il Papa ‘collaborare armonicamente’, per il bene di tutti e di tutta la società perché nessuno deve rimanere senza risposte che generino vita. Diamo corpo a quello che il Santo Padre ha definito ‘efficace sinergia, capace di incidere a fondo sulla società”.
La società è abituata a pensare che una persona con disabilità possa rallentare e diminuire l’efficienza.
Nel caso del cammino sinodale invece è l’esatto opposto, come spiega Erio Castellucci, arcivescovo di Modena-Nonantola e vescovo di Carpi, consultore della segreteria del sinodo: “ la persona con disabilità velocizza il percorso perché porta a concentrarsi su ciò che è essenziale, senza perdere tempo in questioni secondarie. Tante volte sono davvero delle quisquiglie, invece gli amici con disabilità ci fanno fermare un momento”.
Quindi un’unità di misura diversa, espressa da un’altra metrica, segue il cammino: “ Il Papa ci chiede di rovesciare lo schema: come posso ascoltare anche chi dice cose scomode? Come posso imparare da una persona che vive in modo diverso da me? Lo Spirito ci sta chiedendo questo: ascoltare in maniera profonda. Ci possiamo – conclude – arricchire tutti insieme, membra diverse, eliminando i toni compassionevoli, che Gesù non ha mai usato.”