Rapporti tra Chiesa Cattolica e omosessualità e su come la Chiesa possa accogliere le persone LGBT+. Esiste una pastorale di frontiera? Una pastorale con?
Cosa dicono a riguardo i testi e i documenti della Chiesa cattolica? La Chiesa può essere una casa per tutti?
Padre Pino Piva, gesuita, si occupa di Esercizi spirituali, accompagnamento, e formazione. In questo ambito, anche di spiritualità dalle frontiere. Il Rimini Summer Pride, in programma sul lungomare sabato 30 luglio, pone anche questi interrogativi.
Le persone transgender e il loro rapporto con la Chiesa.
Nel suo intervento ai “Lunedì di Viserba”, padre Piva lei ha detto: Nessuno va discriminato per l’orientamento sessuale. Tutti vanno accolti con rispetto. Quale orizzonte pratico e pastorale può aprire la sua affermazione?
“La mia affermazione di Viserba era riferita alle persone LGBT+, quindi certamente alle persone transgender, ma anche alle persone lesbiche, gay e bisessuali (e tutte le altre che si riconoscono in quel segno “+”).
Citavo il Catechismo della Chiesa Cattolica che, riferendosi agli uomini e alle donne con tendenze omosessuali al n. 2358 dice: «devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione ». Queste parole erano già presenti nell’edizione del 1992. Questo vuol dire che per la Chiesa la non-discriminazione delle persone omosessuali è un dovere esplicito da ormai trent’anni.
Confesso quindi che la sua domanda mi meraviglia un po’: l’orizzonte a cui apre questa affermazione della Chiesa dovrebbe essere ovvio da molto tempo; evidentemente non è così. Ma dato che il Magistero in questo senso è molto chiaro, e la non discriminazione (almeno nelle intenzioni della Chiesa) è affermata con chiarezza da almeno tre decenni, il problema è di comprensione ecclesiale, interno, e non di rapporto tra la Chiesa e la società. A quanto pare le comunità cristiane hanno ancora un cammino da fare per poter recepire la sapienza della dottrina della Chiesa”.
La non-discriminazione abbraccia tutto l’arcobaleno definito “mondo Lgbt”?
“Ovviamente si. Il Catechismo si riferisce genericamente agli uomini e alle donne omosessuali.
Dopo trent’anni siamo giunti alla consapevolezza che questo riferimento generico a persone che vivono esistenze diverse non è rispettoso perché non rende ragione della specifica condizione personale.
Per questo oggi preferiamo riferirci esplicitamente a ‘lesbiche’ (donne omosessuali), ‘gay’ (uomini omosessuali), ‘bisessuali’ (una condizione veramente a sé) e, ovviamente, alle persone ‘transgender’, la cui condizione non riguarda l’orientamento sessuale, ma l’identità di genere. Da qui l’acronimo ‘LGBT+’, da non usare in senso ideologico, ma per semplice rispetto delle persone”.
Nello stesso “mondo Lgbt” si fa un gran parlare di diritto al figlio delle coppie omosessuli.
“Veramente, purtroppo, si parla di ‘diritto al figlio” in ogni ambiente che non abbia una prospettiva cristiana della famiglia: ambienti eterosessuali soprattutto (dove il ricorso alla fecondazione assistita ‘eterologa’ e alla ‘gestazione-per-altri’ ha raggiunto percentuali impressionanti), ma anche ambienti omosessuali, ovviamente. Nella serata di Viserba ricordo di aver risposto esplicitamente ad una domanda affermando che non c’è un ‘diritto al figlio’, né per eterosessuali, né per omosessuali”.
Benedizione delle unioni di persone dello stesso sesso. Un tema che si colloca in un dibattito molto articolato e complesso e che pone molte questioni pastorali. Come si pone la Chiesa?
“Se la sua domanda è ‘come si pone la Chiesa?’ a questo riguardo, la risposta la trova nel Responsum vaticano del 15 marzo 2021: non si possono benedire le unioni di persone dello stesso sesso, come non si possono benedire ‘relazioni, o partenariati anche stabili, che implicano una prassi sessuale fuori dal matrimonio (sacramento)’; quindi non possono essere benedette neanche le semplici convivenze eterosessuali o le seconde unioni dopo il divorzio. Vista la dottrina della Chiesa circa l’unione sessuale la risposta mi sembra scontata.
Diverso è il caso della partecipazione, da parte della comunità cristiana, alla gioia delle persone che, dopo fallimenti relazionali, ferite affettive, vissuti difficili di discriminazione, non accettazione personale e forse anche promiscuità sessuale, trovano una stabilità affettiva ed esistenziale in una vita di coppia. Quando questa stabilità affettiva è il ‘meglio possibile’ che le persone possono offrire a se stesse, all’altra/o e a Dio, il capitolo VIII dell’Esortazione Apostolica Amoris Laetitia suggerisce che la comunità cristiana accolga con gioia e integri queste coppie, anche se non sono matrimonio-sacramento. Questo, nelle modalità che si troverà più opportune, dopo necessario discernimento. Il cardinal Kasper ritiene che questo valga anche per le coppie omosessuali”.
Padre Piva, lei è un esperto di percorsi di accompagnamento pastorale con le persone omosessuali. Esistono esperienze interessanti in essere in Italia?
“Certo! E senza andare troppo lontano è sufficiente l’esempio della Diocesi di Bologna, dove il referente per la pastorale con persone LGBT+ è lo stesso direttore dell’ufficio diocesano per la famiglia don Gabriele Davalli. Ha ricevuto l’incarico dal cardinale Zuppi nel 2018 e da lì in avanti ha lavorato intensamente. La diocesi accompagna l’itinerario del gruppo di cristiani LGBT+, il gruppo ‘In Cammino’, e il gruppo dei genitori di figli LGBT+, il gruppo delle ‘Famiglie In Cammino’; tutto alla luce del sole. Esperienze simili ci sono in altre diocesi della Regione, e certamente a livello nazionale.
A Torino invece una pastorale diocesana per le persone omosessuali esiste dal 2006. Il responsabile è don Gianluca Carrega”.