Due “scuole di pensiero” si sono confrontate sull’immagine della cabina della funivia del Mottarone nei secondi che hanno preceduto lo spezzarsi della fune trainante e l’inizio della tragica corsa prima dello schianto.
Per dire la verità, tutta la verità, era necessaria quella foto oppure la verità per essere compresa nella sua pienezza non ha bisogno di spingersi fino al racconto degli ultimissimi attimi e particolari di una tragedia?
Questa domanda ritorna puntualmente e va accolta non per provocare due schieramenti contrapposti ma per approfondire ciò che è essenziale perché la verità venga raccontata nella sua interezza nel rispetto delle regole professionali e nel contemporaneo rispetto dei diritti e della dignità delle persone.
Forse inaspettata, una risposta è venuta da un campo di calcio durante il torneo europeo quando una squadra condividendo l’invito del suo capitano si è posta a cortina di protezione di un amico che sembrava ormai giunto alla fine della sua vita.
Hanno nascosto la verità?
E anche la biciclettina e il monopattino dei due fratellini uccisi nei giorni scorsi da un folle hanno tolto qualcosa alla verità?
Anni addietro il fotoreporter di una grande agenzia giornalistica invece di fotografare i corpi straziati dopo un attentato terroristico su un autobus aveva ripreso un succhiotto di bimbo caduto sul marciapiede, accanto c’era un rivolo di sangue. Aveva ritenuto che questa immagine potesse bastare per completare una notizia perché i lettori con la loro intelligenza sarebbero arrivati a cogliere la verità.
La foto fu pubblicata da grandi testate internazionali. Proprio nei giorni scorsi nell’anniversario della tragedia di Vermicino la Rai ha proposto un servizio in cui alcuni suoi giornalisti facevano una dura autocritica ai servizi mandati in onda con la convinzione di raccontare la verità per poi scoprire che questa non aveva bisogno dello spettacolo per manifestarsi pienamente. Rimane il fatto che un Paese intero rimase emotivamente incollato al televisore. E questo fatto si ripete molto spesso.
Continua quindi un confronto che chiama in causa l’etica di chi invia e l’etica di chi riceve una notizia, la responsabilità di chi scrive e fotografa e la responsabilità di chi legge e guarda.
La verità si pone in questo confronto con il suo linguaggio che non è fatto di silenzi complici degli errori e dell’ingiustizia ma è fatto di silenzi che generano una denuncia e una lotta. La verità compie passi che si intrecciano con quelli di chi si interroga guardando una foto e nello stesso tempo si interroga sul senso di una tragedia provocata dall’uomo.
Paolo Bustaffa