Nel pomeriggio in cui appresi della scomparsa del presidente della Fiera Lorenzo Cagnoni stavo leggendo la notizia dell’indignazione dei tifosi del Napoli nei confronti dei responsabili della comunicazione della loro società per un post pubblicato proprio quel giorno.
Il post, apparso sui profili ufficiali del Napoli, definiva “ cazzate” delle voci di mercato riguardanti un certo giocatore. Una società campione d’Italia e impregnata in Champions League non può esprimersi in questi termini ma deve avere stile e usare un linguaggio adeguato, sostenevano giustamente i tifosi partenopei.
Di Lorenzo Cagnoni impressionava la cadenza nell’eloquio, lenta e pacata, sorniona e signorile, quasi spiazzante in un’epoca di parole sparate, se non urlate, a raffica per farsi sentire prima che arrivi qualcun altro a prendersi la scena.
Che si fosse d’accordo o no con lui, Cagnoni lo si ascoltava perché le sue parole davano sempre l’idea di essere ponderate come meritavano, mai sprecate e sempre ricercate con pazienza per arrivare a quello che i francesi definiscono “le mot juste”. E pazienza se l’auditorio fremeva, per correre chissà dove.
Una capacità, quella di dare senso alle parole, sempre più rara in un mondo dove tutto deve essere compresso nella durata di un tiktok e dove anche la comunicazione ufficiale spara parole a getto immediato senza pensarci più di tanto.
Salvo poi cercare rifugio nei soliti “frase estrapolata dal contesto” o “la solita strumentalizzazione”.
La sapiente flemma di Cagnoni era invece la strategia perfetta per evitare di dire boiate.
Per non usare termini peggiori, ma li lasciamo all’ufficio stampa del Napoli.