Se gli imprenditori romagnoli avessero un progetto per il rilancio dell’economia locale, lo avrebbero già applicato. Questo crede Paolo Maggioli, presidente della neonata Confindustria Romagna che riunisce – per ora – le associazioni di Rimini e Ravenna (all’appello manca Forlì-Cesena, ancora non convinta sulla fusione), il quale aggiunge: “Dal punto di vista della Confindustria crediamo molto nel progetto Romagna. La rappresentanza delle aziende deve avvenire su area vasta. Se ci si presenta come Romagna si possono valorizzare ulteriormente gli imprenditori e i lavoratori. Viaggiare da soli sarà sempre più difficile”.
Un messaggio subliminale per chi è rimasto fuori a guardare?
“Una Romagna senza Forlì e Cesena non è Romagna, quindi saremo felici di accoglierli. Vogliamo dire loro di credere di più in questo progetto. Dopotutto stiamo vedendo un grande interesse da parte delle aziende di quei territori e mi auspico che la fusione avvenga nel giro di poco tempo. Anche perché il rischio che corrono è quello dell’isolamento”.
Presidente, come si immagina il futuro della Romagna?
“Dobbiamo valorizzare di più ciò di cui disponiamo. Prendiamo il caso delle infrastrutture. Ne abbiamo di fondamentali, come il porto di Ravenna e la fiera di Rimini, capaci di offrire lavoro a tutta la regione”.
Ma come portare sul nostro territorio imprese dinamiche?
“Stiamo guardando con grande attenzione al mondo delle start-up giovanili e delle università. La Romagna rappresenta un grande campus universitario con ventimila studenti tra Rimini, Ravenna, Forlì e Cesena ben collegati a Bologna”.
Cosa fare per loro?
“Incoraggiarli a buttarsi nel diventare imprenditori. Dobbiamo dare spazio alle iniziative che li sostengono, come il concorso ‘Nuove idee e nuove imprese’. Con le tante aziende che negli ultimi anni hanno chiuso, si è creato uno spazio per nuovi soggetti imprenditoriali”.
È soddisfatto del rapporto scuola-lavoro nel nostro territorio?
“Abbiamo sviluppato una grande sinergia con gli istituti superiori. Le aziende hanno capito che per innovare devono inserire giovani al loro interno. Dopotutto occorrono forze fresche, portatrici di nuove idee, per non continuare a ragionare in base a paradigmi sorpassati. E allo stesso tempo le scuole tecniche e le università hanno capito che chi è prossimo al diploma deve avere cognizione di come funzioni un’azienda. Gli ultimi mesi di studio devono servire ai ragazzi a conoscere il mondo del lavoro”.
Di cosa avrebbe bisogno questo territorio per attrarre più investimenti?
“La Romagna ha già un vantaggio, quello di avere due grandi economie: la manifattura e il turismo. La prima però non è sempre vista nel suo potenziale effettivo e le difficoltà burocratiche non ne facilitano la crescita. Il nostro territorio può essere appetibile per le imprese che vengono da fuori se siamo pronti ad accoglierle con le giuste infrastrutture ed aree industriali. Quando un’azienda arriva in Romagna non deve impiegare un anno per entrare a regime”.
Chi è responsabile di queste lungaggini?
“La politica locale. Quando parliamo di burocrazia è essa a doversi attivare. Un’azienda sceglie una location in base alla facilità con cui vi si insedia. Dobbiamo essere più competitivi e veloci”.
Vede in campo le giuste sinergie fra pubblico e privato nel far crescere il territorio?
“In questi anni c’è stata collaborazione. Ci si è resi conto che solo lavorando insieme e conoscendo i problemi dell’altro si poteva progredire. Certo si può fare di più. Questa crisi ha fatto parecchi danni e non possiamo aspettarci un ritorno alle condizioni precedenti ad essa in un paio di anni”.
La prima esigenza?
“Recuperare posti di lavoro”.
Su quali settori puntare per creare occupazione?
“Non ce ne è uno specifico. Ciò che conta è sostenere chi guarda al futuro, e non per forza puntare soltanto sulla tecnologia. Le imprese della nostra area che sono ancora sul mercato sono quelle che hanno saputo innovare e internazionalizzare; quelle che hanno compreso che la crisi non era passeggera, ma un cambio epocale di fronte al quale occorre guardarsi dentro e cambiare pelle. Un aspetto positivo di questa congiuntura? Aziende che prima non esportavano hanno cominciato a farlo”.
Che significato ha la teoria di ‘Impresa 4.0’ per la Romagna?
“Dobbiamo aspettarci una rivoluzione industriale, peraltro già in atto. Guardiamo con favore alla manovra del Ministero dello Sviluppo che premia chi punta sull’innovazione, indipendentemente dal settore di appartenenza. La Romagna è pronta ad abbracciare la sfida dell’industria intelligente. Le nostre aziende chiedono infatti facilitazioni negli investimenti in innovazione”.
Il Polo tecnologico e l’incubatore del turismo di Rimini hanno subito rallentamenti. Perché il mondo dell’impresa non ha lamentato i ritardi?
“Al momento non si sono ancora allacciate le giuste collaborazioni, però siamo sulla strada giusta. Questi luoghi sono fondamentali. Dobbiamo incanalare le risorse in poche realtà di valore (come ‘Innovation square’) e non disperderle in troppi progetti”.
Secondo lei la Romagna è meno attrattiva dell’Emilia dal punto di vista imprenditoriale?
“Non credo. Il tema è avere delle aree industriali pronte ad accogliere nuovi insediamenti produttivi. Il turismo ci distrae. Esso è fondamentale, ma dobbiamo ricordare che l’occupazione più stabile proviene dalla manifattura”.
Mirco Paganelli