La nostra intervista a Paolo di Tarso volge al termine. Sono stati tredici incontri attraverso i quali abbiamo scoperto insieme a lui molti particolari della sua ricca personalità e del suo pensiero teologico con sempre sullo sfondo alcuni monumenti della città di Roma che avevano qualche attinenza con la vicenda paolina. Oggi siamo andati a salutare san Paolo all’aeroporto di Fiumicino, al terminal “C” voli internazionali. È vestito in modo sobrio, ma elegante. Ed ha una curiosa valigia di cuoio intrecciato. Ci sediamo in uno dei tanti caffè del terminal.
Dunque con il suo soggiorno italiano finiscono anche le nostre conversazioni – dove si recherà adesso?
“L’anno paolino non è solo qui a Roma, anzi ci sono parti del mondo che amano molto la lettura delle mie lettere e là desidero andare per incontrare alcune comunità. Ad esempio in India e poi in Bangladesh. Il cristianesimo sta in quei luoghi incontrando una vivacissima stagione, ci sono tante vocazioni maschili e femminili al servizio del vangelo, tante famiglie che desiderano ascoltare il Vangelo di Gesù… forse anche per questo quelle chiese stanno subendo alcune persecuzioni… d’altra parte, è la nostra vicenda cristiana che esige il confronto con la croce!”
10.000 Km di viaggi
Lei che è stato un grande viaggiatore dell’antichità cosa ne pensa di questi nostri moderni mezzi di trasporto? Prende con facilità l’aereo?
“Dimmi tu come si fa a essere cristiani e a non essere persone in movimento! Io ho percorso a piedi, in nave, sull’asino e sul mulo ed anche sui dromedari quasi 10.000 kilometri nel mondo antico. E non dico i pericoli! Quelli dei mezzi (sei mai stato su di una barca antica in mezzo ad una tempesta?), ma anche quelli degli uomini: predoni, pirati, ed in genere i “poco di buono” che si incontrano in ogni porto ed in ogni locanda. Come farei oggi ad aver paura di viaggiare? Molti, moltissimi santi sono stati degli infaticabili viaggiatori, e io – scusa se mi vanto – sono stato tra i primi della lista! Anche una santa suora di clausura come Teresa di Gesù Bambino ha – nella sua preghiera – continuamente viaggiato coi missionari, tanto da divenirne patrona! La parola di Dio non conosce confini, non è incatenata, non ha passaporti…”
Ho lavorato con queste mie mani
Però lei è stato anche un lavoratore manuale, come dice spesso nelle sue lettere. Come ha conciliato il viaggiare ed il lavorare?
“Sì ho avuto grande stima del lavoro, è questo un tema importantissimo. Atti 18, 3 dice che a Corinto, lavorai come artigiano il cuoio per costruire tende e stuoie. Vede questa valigia? L’ho fatta io con le mie mani. Ho imparato questo lavoro da mio padre. Nelle lettere parlo spesso del mio lavoro manuale (1Tes 2, 9; 1Cor 4, 12). Ho volontariamente scelto di abbinare l’attività missionaria con il lavoro; il motivo viene esplicitato nelle lettere ai Corinti: volevo lavorare per facilitare l’accettazione del vangelo e per porre la mia azione missionaria al di sopra di ogni sospetto: mica volevo essere confuso coi ciarlatani e predicatori da strapazzo! Il lavoro mi serviva dunque per evitare di essere mantenuto e liberando così il messaggio da sospetti di interesse privato. L’ideale al quale mi ispiravo è quello di una modesta autosufficienza (cfr 2Cor 4, 11b-12), inoltre nell’Antico Testamento viene espresso un serio apprezzamento del lavoro (al contrario del mondo greco-latino… il vostro! che vedeva nel lavoro un’alienazione dello spirito): Dio stesso è presentato in Genesi 1 e 2 come “uno che lavora” all’opera della creazione. Non mi faceva problema come artigiano, appartenere ai gradini più bassi della scala sociale e di questo ne ero consapevole (2Cor 11, 7). Però non rifiutavo anche aiuti economici quando le circostanze escludevano ogni possibilità di malintesi (Fil 4,14-16). Non volli però mai essere di peso alle comunità nelle quali vivevo. Nel lavoro manuale coglievo anche un’occasione missionaria: con esso potevo svolgere un’azione capillare, una propaganda a tu per tu, nel contesto di una comunanza di vita e di lavoro”.
Paolo, sposato o celibe?
Vengo ad una domanda curiosa ma non oziosa che ha occupato anche autori antichi come Clemente Alessandrino e Origene. Qual era il suo stato civile? Lei è stato sposato o celibe?
“Sapevo che prima o poi me lo avrebbe chiesto! Voi moderni siete molti curiosi degli affari di cuore dei personaggi in vista! Nel mio mondo non era così. Fare famiglia era prima di tutto un dovere religioso del tutto lontano dagli affari di cuore, anche se certamente l’unione tra uomo e donna esigeva rispetto, affetto e poi, con gli anni, tenerezza e amore. Alcuni però non si sposavano per dedicarsi totalmente allo studio della Scrittura. Dunque di quali ho fatto parte? Mi permetta di non rispondere. Le lascio le varie ipotesi: per quegli autori antichi che ha citato io ero un uomo sposato, poi, negli anni della missione cristiana, libero da vincoli matrimoniali, cioè vedovo, oppure (cosa però improbabile) la mia ipotetica moglie non mi avrebbe seguito nella vita cristiana e missionaria. Gli Atti degli Apostoli non dicono nulla. Tra le Lettere alcuni si basano soprattutto su 1Cor 7-9, anche se le interpretazioni sono divergenti. Dunque tre sono le ipotesi maggiori: ero un celibe dedicato allo studio delle Scritture e poi, da cristiano, dedicato al ministero; ero sposato, ma mia moglie morì e poi non mi risposai; la moglie mi aveva lasciato perché non condivideva il cristianesimo e la mia missione… oppure una quarta ipotesi è che mia moglie viaggiasse con me, ma che nessuno ne abbia parlato! Vede in tutti i casi bisogna dare ragione di un fatto: che la mia vita missionaria esigeva una libertà di azione, tali pericoli e tali … spericolatezze allora difficilmente pensabili per una donna, a tal punto che se ci fosse stata… doveva scomparire! Ho tanto avuto a cuore la vita di famiglia come ho scritto nelle mie lettere! Un marito vero deve essere premuroso e occuparsi della moglie, rispettarla, amarla. Come avrei potuto? Ma volentieri lascio che su questo punto ciascun lettore si interroghi”.
La fragile accusa di maschilismo
Ed il suo rapporto con le donne? Lo sa che molti pensano che lei fosse un maschilista?
Paolo si fa una sonora risata.
“Lo sapevo! Dimmi quanti nomi di donne collaboratrici tu puoi associare a Giulio Cesare, quanti a Virgilio o a Dante. E quanti allo stesso Leonardo o a Einstein? Dalle mie lettere tu puoi conoscere dieci, quindici nomi di donne che mi hanno aiutato (e non solo cucinando o rammendando!) nella mia missione: Febe, Lidia, Prisca, Giunia, Giulia,… Ad esempio, nella lettera ai Filippesi nomino due donne, Evodia e Sintiche, esortandole ad essere concordi nel Signore (4,2), e prego un mio fedele compagno di aiutarle a riconciliarsi, poiché esse hanno combattuto per il vangelo insieme con me, al pari di altri collaboratori tra cui Clemente: “i loro nomi sono scritti nel libro della vita” (4,3). Per queste donne l’aver lottato insieme a me per la diffusione del vangelo comporta in qualche modo l’aver esercitato almeno in parte il mio stesso impegno missionario; inoltre le espressioni di ammirazione e il fatto che praticamente sono le uniche persone che nomino – oltre a Clemente – ti portano a dedurre che esse devono aver avuto un ruolo di primo piano nella conduzione di quella comunità. Qualcosa di simile si può supporre anche di Cloe (1Cor 1,11) e soprattutto della “sorella Apfia”, unico caso di una donna esplicitamente citata da me tra i destinatari di una mia lettera, subito dopo la menzione di Filemone e prima di Archippo (Fm 2). Allora? Dove sarebbe questo grande maschilista? Non potevo del tutto sovvertire la mentalità comune dei miei tempi che vedeva la donna in uno stato secondario rispetto all’uomo, ma certo ho coinvolto tante donne nella mia missione riconoscendo loro piena dignità! Se si fa il conto dei miei collaboratori – dice Paolo con un guizzo di ironia – ho ampiamente rispettato le “quote rosa”. Voi?”
È tempo di partire per nuove missioni
La voce della chiamata all’imbarco dell’aereo interrompe questa nostra chiaccherata. Paolo prende la borsa, se la mette a tracolla, prende in mano la Bibbia, e mi dà un colpetto sulla spalla. “Se non sbaglio dovrà anche lei iniziare a viaggiare molto!”, io rido e mentre si allontana Paolo mi mostra con il dito indice in alto e dice “… a motivo di Cristo!” (Fil 3).
Grazie Paolo per quanto ci hai insegnato, ma soprattutto per la tua vita straordinaria spesa totalmente a servizio del Signore e della sua Chiesa.
(13– fine)
a cura di Guido Benzi
Con questa tredicesima puntata don Guido conclude la sua lunga intervista a Paolo, anche perchè pressato da importanti nuovi impegni di pastorale. Lo ringraziamo per il bellissimo dono che ci ha fatto, dandogli appuntamento per nuove interviste a personaggi dell’Antico e Nuovo Testamento.