Home Attualita Paolo Cevoli e la gioia di far felici gli altri

Paolo Cevoli e la gioia di far felici gli altri

A pochi passi dalle due torri, sotto i portici di Bologna, il comico Paolo Cevoli ci racconta il suo rapporto con la fede e con alcuni sacerdoti che hanno lasciato un segno speciale nella sua vita: da don Giorgio Dell’Ospedale, che lo ha sempre accompagnato, fino ai servi di Dio don Oreste Benzi e don Luigi Giussani. Ma la vulcanica generosità dell'”assessore” reso celebre da Zelig, affonda le radici nell’educazione ricevuta in famiglia

Paolo Cevoli, ci accogli tra gli abiti da sposa, quelli che disegna tua moglie, che è una affermata stilista: non possiamo non cominciare la nostra conversazione proprio dal tuo matrimonio. Trent’otto anni di vita insieme ad Elisabetta, due figli (Giacomo e Davide) e addirittura tre nipoti. Che posto occupa nella tua vita la famiglia?
Io non potrei concepirmi senza la mia famiglia. Siamo tra gli abiti da sposa, in un luogo di bellezza e di gioia, perché quando due persone si dicono di sì per tutta la vita è giusto far festa. Poi, però, quel sì e quella festa vanno rinnovati di giorno in giorno, come stiamo facendo io e mia moglie da 38 anni a questa parte. Anche adesso che abbiamo perfino tre nipotini.
Del resto non potrei concepirmi neppure senza la mia famiglia d’origine, senza quelle relazioni. Quelle sono relazioni non scelte, come invece possono essere le amicizie o una partnership lavorativa: ma sono proprio le relazioni non scelte quelle con cui siamo chiamati a fare i conti e che rendono affascinante la vita.

La rete è piena dei tuoi spassosissimi monologhi in cui racconti della tua infanzia, di come iniziasti a lavorare fin da piccolo nella pensione “a zero stelle” dei tuoi genitori, di tutto quello che ti ha insegnato tuo padre… Qual è l’eredità più grande che pensi di aver ricevuto da loro?
Da mio padre e da mia madre ho ricevuto innanzitutto la positività e la leggerezza: cercare sempre il positivo nelle cose. I miei erano sempre pronti a sottolineare le cose che andavano, che creavano unità, e a non enfatizzare quelle che potevano dividere o creare malumore. Non li ho mai sentiti parlar male di qualcuno o lamentarsi. Poi, essendo albergatori, avevamo anche questa vocazione professionale a creare sempre un ambiente accogliente e positivo.

Don Giorgio Dell’Ospedale, che ci ha lasciato ad ottobre del 2020 a 78 anni, è stato per 47 anni parroco degli Angeli Custodi a Riccione (RN): un sacerdote amatissimo dalla sua gente, che era costretto a celebrare la messa di Natale al Palazzetto perché c’erano sempre almeno 3000 persone. Che ricordi hai di lui? Quali altri sacerdoti hanno avuto un ruolo importante nella tua vita?
Don Giorgio è stato il prete che ha accompagnato per tutta la vita me e la mia famiglia. È stato lui, ad esempio, a dare il viatico al mio papà. Mi ricordo che papà era sul letto di morte (di lì a un’oretta sarebbe andato in Cielo) ed era tardi, dopo mezzanotte; don Giorgio era di ritorno da un pellegrinaggio ma venne subito a casa nostra. Ricordo bene che papà si mise a scherzare con lui e cominciarono a farsi delle battute e a prendersi in giro: anche in quel momento così drammatico, nessuno dei due aveva perso il sorriso, e questo per me fu un grande insegnamento. Sono proprio il mio papà e questo sacerdote che mi hanno insegnato a fare il comico.
Don Giorgio raccontava barzellette perfino alla fine della messa, ancora con i paramenti addosso: lo faceva quasi sempre, eccetto che in Quaresima, quando si asteneva da questa “pratica paraliturgica” (ride, ndr). Aveva una risata contagiosa e dei tempi comici perfetti: oltre che un grande amico, lo ribadisco, per me è stato anche un maestro.
Poi ho avuto la fortuna di avere come insegnante di religione, al liceo, don Oreste Benzi, il fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII, di cui è in corso la beatificazione, e ho conosciuto di persona don Giussani, anche lui un altro che… “sta facendo una grande carriera” (altra risata, ndr).

Dal Banco farmaceutico al Banco alimentare, dalla Protezione Civile fino a varie realtà educative per i ragazzi: quando qualcuno ti chiede una mano difficilmente ti tiri indietro. Qual è la “sorgente” di questa tua generosità?
Mio padre, Luciano, sapeva bene che quando facevamo i camerieri nella pensione avevamo dei turni molto pesanti: non c’erano giornate di riposo, si cominciava a lavorare da metà maggio e si proseguiva fino a metà settembre. Per spronarci e motivarci diceva sempre che “quando sono contenti i clienti, siamo contenti anche noi”. È una filosofia di vita molto semplice ma molto importante: la mia felicità è riflessa e io sono felice quando sono felici le persone intorno a me. La neuroscienza lo ha spiegato con la teoria dei neuroni a specchio: se vedo uno sorridere, tendo a fare lo stesso. Ebbene, se io posso contribuire alla felicità degli altri, anche la mia felicità riflessa aumenta: è per questo, secondo me, che realmente è più bello dare che ricevere.
Più dai, più ti torna indietro un gran bene.

(da Sovvenire, intervista di Stefano Proietti – foto, riprese e montaggio di Cristian Gennari)