Non è stato lo spettacolo mattatore dell’ultima edizione (Madama Butterfly, De André e Chieffo: sold out) ma d’altra parte il padre non è una delle figure più bistrattate degli ultimi anni? Non si parla a proposito di eclissi del padre?
Al di là delle cifre, Padre e Figlio, lo spettacolo in cartellone al Meeting 2017, ha fornito elementi di comunicazione artistica ed emozione tangibile per approfondire il titolo della manifestazione (“Quello che tu erediti dai tuoi padri, riguadagnatelo, per possederlo”). Una interpretazione del tema a cavallo del rapporto tra tradizione e contemporaneità, tra eredità e futuro, tra padri e figli, firmata dal regista (nonché direttore artistico del Meeting dal lontano 1998) Otello Cenci (nella foto).
Padre e Figlio è una interpretazione di brani biblici costruita sui potenti testi di Fabrizio Sinisi, con Massimo Popolizio sul palco a portare al pubblico il dramma della paternità e della figliolanza, della libertà nella tradizione. E proprio l’attore genovese si è espresso con efficacia a riguardo: “Stranamente, ma forse non casualmente, mi sto occupando artisticamente del rapporto tra padri e figli da un po’ di tempo, e la cosa mi coinvolge molto proprio perché non sono padre. Credo – continua Popolizio – che i padri che nella vita hai la fortuna di incontrare, quelli cioè che in qualche modo segnano la tua vita, nel mio caso artistica – e sto parlando di Ronconi -, siano quelli che ti porti addosso per la vita. Personalmente non ho avuto il coraggio di diventare padre e il mio essere figlio non è stato sufficiente a vincere questa paura. I testi che ho letto al Meeting mi hanno riportato intensamente proprio a questa domanda: Cosa è questo amore? Dove nasce e di cosa si nutre il più grande atto di amore che si può immaginare?”.
La regia di Cenci ha fatto incontrare-scontrare l’attore Popolizio con alcune delle figure più significative di padre e figli per le tre grandi religioni monoteiste: Giacobbe ed Esaù, Abramo e Isacco, Caino e Abele. La presenza declamatoria di Popolizio, accentuata dalla sobrietà delle scenografie e circondata da momenti artistici perfettamente in linea con la natura dello spettacolo (le musiche del quintetto Siman Tov, ritmi ebraici e balcanici a contaminarsi, e la superba arte visuale di Massimo Ottoni, che disegna dal vivo in maniera interattiva), si è snodata in diversi leggii posti sul palco e sotto luci suggestive che ne hanno amplificato la potenza drammaturgica. Nato come evento unico, lo spettacolo è richiesto da più parti d’Italia, tanto che il regista sta pensando di riproporlo.
Cenci, perché questi padri e questi figli?
“Adamo, Caino e Abele; Abramo e Isacco; Isacco, Giacobbe ed Esaù non sono soltanto i nomi di grandi personaggi, ma vicende di padri e di figli, alla cui radice c’è qualcosa che irrompe e parla di oggi. Dall’Antico Testamento fino alla confusione dell’oggi, tra padri e figli si gioca tutto: la trasmissione del destino e del senso, l’amore per ciò che vale, la vocazione ad essere ciò che si è chiamati ad essere. Il rapporto fra padre e figlio è la chiave attraverso cui indagare il valore della tradizione, della vocazione e della libertà di ciascun individuo”.
I testi scelti sono potenti.
“Il lavoro sui testi è stato molto interessante, frutto di un lavoro iniziato quattro anni sulla ripresa di personaggi/testimoni della Bibbia sotto aspetto umano. Ci ha costretti a interrogarci sulla ragionevolezza dei dialoghi proposti”.
Una sensatezza messa profondamente in discussione quando Dio chiede ad Abramo di sacrificare il suo unico e amato figlio Isacco
“Sacrifica tuo figlio! Impossibile, dirà. Dio ha forse il diritto di chiedere l’impossibile?, è la domanda che Abramo-Popolizio ha provocatoriamente girato allo spettatore. Eppure il «padre della fede» proferirà pure: «mi fido di te!», «mi fido» non ciecamente, ma per una storia di fatti e persone in cui Abramo non è mai stato tradito”.
Paolo Guiducci