Nei secoli del Medioevo gli ospedali hanno avuto una importanza tutta particolare, un peso ancora maggiore di quanto ne abbiano oggi. Per comprenderlo, occorre riflettere sulle molteplici funzioni svolte da un ospedale medievale. Quella sanitaria, tutto sommato, era abbastanza marginale, anche per l’arretratezza della scienza medica e il carattere approssimativo delle cure. In compenso l’ospedale era dedito a svariate forme di assistenza: prima fra tutte dare alloggio ai pellegrini e ai viandanti (non a caso la parola “ospedale” deriva dal verbo “ospitare”); quindi assistere gli orfani, le vedove, i poveri, i senzatetto e i disagiati in generale, fornendo loro il vitto, il vestiario ed altre provvidenze; fino a curare la sepoltura dei nullatenenti, dei forestieri, dei condannati. In sostanza gli ospedali erano istituzioni di tipo prevalentemente caritativo-assistenziale, destinate a soddisfare tutta quella serie di bisogni primari cui oggi provvedono i vari enti pubblici.
Osservatorio del tessuto sociale
Date queste premesse, si può ben capire come l’esame degli ospedali operanti in quel periodo all’interno di una determinata comunità, non sia un fatto secondario, ma permetta di entrare nel vivo del tessuto sociale, svelandone le problematiche e le contraddizioni, i meccanismi posti in essere per risolverle e rendere accettabile la convivenza.
Gli ospedali medievali sorgevano talora per iniziativa ecclesiastica, molte volte per iniziativa di laici, salvo confluire ben presto nell’alveo di istituzioni religiose. In genere erano molto piccoli (magari costituiti da una sola stanza con due o tre letti); in compenso erano molto numerosi. Nelle mie ricerche d’archivio riguardanti Rimini e il territorio circostante, ho contato ben 103 ospedali, sino alla fine del Quattrocento: 45 nella città e 58 nelle campagne. Sembrerebbero cifre esagerate, eppure sono rigorosamente vere.
Un’insolita Cattedrale
Il più antico ospedale riminese attualmente noto, compare in un atto del 1131; non se ne conosce il nome o la paternità, ma la sua ubicazione prossima alla Cattedrale induce a ritenerlo iniziativa del vescovo (o del capitolo), cioè di chi a quel tempo era ai vertici del potere economico e politico cittadino. A partire dalla seconda metà del XII secolo la trama della rete ospedaliera si fa corposa, nel centro urbano e nel contado.
Nell’impossibilità di ricordarli tutti, mi limiterò a nominare alcuni fra gli ospedali più importanti. L’ospedale di S.Spirito, innanzitutto, del quale è rimasta una fitta documentazione riferita agli oltre duecento anni di operatività. Nato nel 1206 per iniziativa laica ma dietro licenza vescovile, sorgeva fuori borgo S. Genesio (oggi borgo S. Giovanni), in prossimità della via Flaminia e della strada “regale” per Coriano, Montefiore, Urbino. Se ne conserva integralmente la regola, tramite una voluminosa pergamena del 1254, dalla quale è possibile cogliere l’organigramma, le mansioni e la stessa filosofia dell’istituzione. Si pensi ad esempio che al ricovero dell’infermo seguiva la confessione da parte del sacerdote, non la visita del medico, peraltro assente qui e in quasi tutti gli ospedali.
Altro ospedale di rilievo (e riccamente documentato) è quello di S. Lazzaro del Terzo. Fondato anch’esso agli inizi del Duecento e posto presso l’odierna Miramare, al terzo miglio della Flaminia (da qui, il nome), era destinato prevalentemente alla cura dei lebbrosi che, per disposizione statutaria, non potevano alloggiare in città. L’organizzazione dell’ospedale era caratterizzata da vari aspetti di un certo interesse: vi operavano non solo uomini e donne legate ai consueti voti di povertà, castità e obbedienza, ma anche coppie di sposi che proseguivano la normale vita coniugale. Alla sede ospitaliera principale si aggiungevano varie sedi minori distribuite nel territorio. Le principali decisioni venivano assunte in forma assembleare, coinvolgendo i religiosi, gli operatori laici e gli stessi malati (un esempio di democrazia e partecipazione inviabile anche nell’anno 2008).
All’interno della città va segnalato l’ospedale di S. Maria della Misericordia, situato a metà strada fra la piazza della Fontana e la direttrice portuale, divenuto col tempo di tale importanza da essere scelto come polo di aggregazione per i successivi interventi di riordino. Perché anche a Rimini, come nelle altre città italiane, sul finire del Medioevo si registra una importante evoluzione del sistema ospedaliero, frutto di una sensibilità nuova delle autorità civili in campo sanitario. Le prime manifestazioni si colgono con l’assunzione di uno o più medici condotti da parte della comunità locale, che si accolla un onere avvertito ora come proprio e non di semplice pertinenza del privato. Il passo successivo consiste nella razionalizzazione della rete ospedaliera, sulla scia di numerose altre esperienze cittadine.
Verso l’unificazione
Nel 1486 è il governatore Galeotto Malatesta a sollecitare presso il vescovo Giovanni Rosa l’unificazione di 11 ospedali cittadini espressamente menzionati e di tutti gli altri ospedali non appartenenti alla Mensa vescovile. Le motivazioni risiedono soprattutto nella dimensione minima di molti organismi e nella inadeguatezza delle rispettive risorse finanziarie, tale da costringere sovente a rifiutare l’assistenza richiesta; inadeguatezza che si manifesta particolarmente in tempo di epidemie e di peste. Con ogni evidenza l’intervento è reso ancor più urgente e pressante dagli esiti letali della peste scoppiata a Rimini l’anno precedente. L’unificazione nell’ospedale di S. Maria della Misericordia produce l’accorpamento di tutti i beni mobili e immobili dei singoli enti. Due persone di nomina signorile dovranno sovrintendere alla buona gestione del patrimonio. Il vescovo conserva la potestà di visita, per verificare l’efficienza dei servizi resi, facendosi però accompagnare da alcuni cittadini. Con questo provvedimento – cui si aggiungerà, due anni dopo, la costruzione del nuovo lazzaretto – si assiste non solo alla nascita di una struttura più razionale, ma si coglie anche l’inizio dell’interessamento e del controllo laico sull’apparato ospedaliero. È dunque un passaggio molto importante nella evoluzione del sistema sanitario e della società civile in generale.
Da queste pur brevi notizie, si può comprendere l’importanza di ricostruire la storia del tessuto ospedaliero riminese nei secoli del Medioevo, mostrandone i caratteri, l’evoluzione, il ruolo, l’influenza sulla vita della popolazione e della città nel suo complesso. È un vuoto di conoscenze che andrebbe colmato.
Il gruppo di studio
Nell’ormai lontano 1997 si era costituito un gruppo di studio che, partendo dal copioso materiale d’archivio da me raccolto in decenni di ricerche, aveva formulato un progetto di lavoro da concretizzarsi pubblicando una Storia degli ospedali medievali riminesi in tre volumi destinati a passare in rassegna uno ad uno i 103 ospedali, secondo l’ordine cronologico, soffermandosi ovviamente sulle strutture più significative. Il primo volume, incentrato sulle vicende dell’Ospedale di Santo Spirito, era già in fase avanzata di preparazione. Il progetto, in data 3 dicembre 1997, venne presentato formalmente alla Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini, nella persona del suo Presidente Luciano Chicchi, chiedendone il patrocinio. Nonostante la spesa preventivata fosse veramente modesta, il progetto non fu nemmeno preso in considerazione. Negli anni seguenti vennero presi contatti con l’Azienda AUSL di Rimini. Nel marzo 2000 il progetto editoriale era pronto fin nei minimi particolari ed era ormai definita la convenzione tra l’Azienda e l’Editore Stefano Patacconi, che aveva accettato di accollarsi l’onere della stampa. Purtroppo, l’improvvisa scomparsa di Patacconi ha bloccato nuovamente l’iniziativa.
Chissà se un terzo tentativo potrà avere miglior fortuna?
Oreste Delucca