Importante partecipazione di pubblico alla Lectio magistralis dello storico “cittadino riminese” Andrea Riccardi (Comunità Sant’Egidio) dedicata al tema “Rimini per la Pace”
“La pace è un sogno, può diventare realtà… ma per costruirla bisogna essere capaci di sognare”.
Le parole di Nelson Mandela creano un connubio armonioso con quelle pronunciate dallo storico Andrea Riccardi alla lectio magistralis dal titolo ‘ Rimini per la pace’ tenutasi al Cinema Fulgor mercoledì 31 maggio. Sì, perché anche lo studioso romano, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, tiene a sottolineare che bisogna scavalcare la paura e assumersi la responsabilità di intervenire affinché le guerre cessino di seminare distruzioni e sofferenze e affinché la pace trionfi.
All’incontro erano presenti anche il sindaco Jamil Sadegholvaad e la presidente dell’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna Emma Petitti. Ha aderito la Rete della Pace di Rimini.
“ L’art. 11 della nostra Costituzione, quello in cui si enuncia che l’Italia ripudia la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti, oggi viene tradito in modo clamoroso. – chiosa il primo cittadino – Uno dei migliori modi per raggiungere la pace è fortificare la nostra Europa, che appare stretta nella morsa di superpotenze che combattono sulla nostra pelle, e in questo caso specialmente sulla pelle del popolo ucraino”.
Gli fa eco la voce di Emma Petitti: “ È necessario un approccio e un impegno attivo per ricercare la pace. L’Europa non può che essere per noi quella cornice internazionale da cui noi dobbiamo pretendere di più”.
Professor Riccardi, a lei, insieme al cardinale Zuppi, sono stati affidati compiti straordinari per la mediazione nel conflitto ucraino. Quanto incide la paura e anche il grado di tensione che si vive in situazioni belliche?
“Il tema della paura è molto attuale e drammatico perché come diceva Zygmunt Bauman, noi non siamo mai stati in un periodo così sicuro della storia. Socialmente, economicamente ed anche politicamente. Tralasciando la guerra in Ucraina, parliamo di un lungo periodo di pace, di crescita, di sicurezza. Però perché abbiamo tanta paura? Mio padre ha partecipato alla Seconda Guerra Mondiale in Albania, è stato prigioniero in Germania; mio nonno ha combattuto nella Grande Guerra ed era a Caporetto.
Io, in vita mia, la guerra l’ho vista da vicino solo perché ho voluto vederla, non perché mi si sia rovesciata addosso.
Noi siamo generazioni sicure.
Eppure abbiamo più paura dei nostri padri, dei nostri nonni e bisnonni. Questo può essere legato anche alla troppa familiarità con la pace. Oggi le mura sono tutte crollate, il lontano è diventato vicino. Si aprono orizzonti sconfinati.
E di fronte a questo siamo tutti profondamente spaesati.
Abbiamo paura perché il nostro Universo è troppo grande e i nostri strumenti di conoscenza, di intervento, sono troppo esigui. È necessario discutere di pace. La rinascita, in Italia, della voglia di guardare al di là, di pensare alla pace, per me è un grande traguardo. Perché è una liberazione dalla paura.
Oggi la donna e l’uomo vivono nella strada di casa propria, ma vivono anche alla terrazza di un mondo sconfinato e bisogna prenderne atto”.
Il tempo della missione è forse una delle caratteristiche del suo lavoro intellettuale, politico e sociale. Ci sono davvero dei margini per affrontare il dialogo di pace, principalmente riguardo la guerra russo-ucraina?
“Quando parlo di pace penso agli ucraini, coloro che pagano il conto di questa guerra.
Perché si combatte nel loro Paese. Infinite persone soffrono, soffrono da un punto di vista personale. Davanti ad un muro con le foto dei caduti, mi ha colpito una mamma che teneva la mano sulla foto del figlio.
L’ho guardata per un quarto d’ora e non accennava a distoglierla. Cosa voleva comunicare?
Un dolore immenso, la ricerca di un contatto che si era smarrito, la distruzione, la violenza. In Ucraina ho sperimentato una sola notte con l’allarme per i bombardamenti. Mi hanno preso in giro per essere scappato nel rifugio. Loro non lo fanno neanche più… L’Ucraina è un Paese che va capito perché bisogna immergersi nella sua storia. È un Paese che ha patito enormemente. Tutto il ‘900 è stato una croce. La guerra civile dopo la Rivoluzione del ’17; Holodomor, la grande fame, 3 milioni di morti di fame con decisione staliniana di non mandare grano; la Seconda Guerra Mondiale.
Poi l’Unione Sovietica, le persecuzioni, e finalmente l’indipendenza. Guardi i loro volti e vedi una storia di strazio.
Questa guerra è un’altra sofferenza.
Quando parliamo di pace non parliamo per paura, lo facciamo per queste persone. Sarebbe pigro e comodo oggi affidarci ad una diplomazia che è silente, priva di iniziative. Allora io non vedo margini per affrontare il dialogo. Noi dobbiamo mettere in campo segni, punti, linguaggi affinché una prospettiva possa costruirsi. Qual è il rovescio della medaglia? Che le guerre si eternalizzano. Per esempio in Siria: abbiamo lasciato che una guerra crescesse nell’indifferenza; abbiamo lasciato distruggere un popolo nelle mani di un tiranno, ma anche in una carenza di iniziative di pace. Nel mondo globale non si possono lasciare i conflitti aperti”.
Lei ha grande competenza anche per quanto riguarda le relazioni tra i grandi sistemi religiosi. È interessante dunque capire come si sta vivendo in maniera drammatica l’intervento delle Chiese ortodosse, contro l’ammonimento sinodale del Papa e degli incontri di Assisi che sono sempre rivolti ad un’astensione degli enti religiosi nei conflitti politici ed etici. Secondo il suo punto di vista, cosa sta accadendo?
“La posizione del Papa è molto discussa.
Non è bene accettata dagli ucraini, perché trovano il suo comportamento freddo nei confronti del loro dramma.
In generale la posizione papale e la posizione del cattolicesimo esce dal secolo scorso come una posizione fortemente identificata con il tema della pace. Di fondo la Chiesa cattolica testimonia nella sua realtà che gli uomini, i popoli, hanno un destino comune, un destino di pace.
L’identificazione, invece, della Chiesa russa del patriarca Kirill nella guerra di Putin è totale. Putroppo anche normale. Perché la Chiesa russa si è sempre identificata nelle guerre dello Zar, ma anche in quelle di Stalin. E gli altri ortodossi? La Chiesa ortodossa in Ucraina è divisa in due spezzoni, quella nazionale e quella della giurisdizione di Mosca. E questa secondo me è un’altra sciagura. Pensiamo all’incontro ad Assisi del 1982, quando i leader religiosi si riunirono per una collaborazione alla pace. Le religioni possono essere benzina per aizzare il fuoco della guerra o l’acqua per spegnerlo. Questa era l’idea di Giovanni Paolo II: credeva che le religioni potessero essere motori della storia, ed è vero”.
Quali possono essere le priorità, dal basso, per poter costruire un tessuto di pace? Soprattutto per una città come Rimini, cosmopolita e sempre molto interessata all’instaurazione della pace.
“Sono principalmente tre le cose possibili da fare. Primo, aumentare il livello di cultura: un mondo complesso come il nostro ha bisogno di informazione e istruzione per poter essere compreso ed aiutato. Secondo, favorire l’incontro: abbiamo la grazia secondo me e la disgrazia per altri, di incontrare nella nostra vita personale tanti testimoni delle guerre e attraverso l’ascolto, il contatto, si scopre che tutti i conflitti sono orribili. Terzo, elargire solidarietà: partire dal locale per interferire con il globale, sentirsi partecipi di un impegno ed un disegno più ampio”.