Il piccolo Omran come il piccolo Aylan.
Quasi un anno dopo (era il 2 settembre 2015) la “foto simbolo” del dramma dei profughi che fuggivano dalla guerra cercando di raggiungere le coste della Grecia, abbiamo una nuova “foto simbolo” a dirci che la guerra c’è ancora e che continua a mietere vittime innocenti. Le foto sono immediate, fanno il giro del mondo in un baleno. Di fronte ad un’immagine non serve spremersi le meningi per trovare parole che raccontino l’orrore. Come la bambina vietnamita che corre ustionata dal napalm o il bimbo ebreo con le mani in alto al ghetto di Varsavia. Quello che stona, ancora una volta, è che se serve un’immagine d’impatto per smuovere gli animi, sappiamo per esperienza che passata la prima ondata di utilizzo mediatico tutto tornerà nel solito silenzio. Il dolore non basta se tutto resta come prima.
Anche se Internet e la tv ci consentono di accedere in tempi brevissimi a tutte le informazioni che desideriamo su qualsivoglia parte del mondo, in realtà ci si limita a misurare l’importanza dei fatti sulla base del tempo dedicato. Così, passata l’indignazione generale per Aylan, una volta spente le telecamere sull’esodo dei disperati che premevano alle frontiere, le notizie sulla guerra che continua a infuriare in Siria appaiono come un rumore di fondo su qualcosa che è lontano e in fondo non ci riguarda troppo. Nonostante gli appelli continui di papa Francesco alla pace e i suoi gesti, l’attenzione dell’opinione pubblica è altrove. Eppure solo dieci giorni fa un bombardamento ha colpito un ospedale pediatrico supportato da Medici senza frontiere nella città di Millis: sono morte 13 persone tra cui 5 bambini. Proviamo a fare un esercizio di identificazione e immaginiamo la notizia come se fosse stato bombardato il Bambin Gesù o il Gaslini. Da una parte all’altra del mondo i bambini sono gli stessi, cambiano i visi, ma si assomigliano tutti. Così, Omran con i suoi 5 anni pieni di polvere e sangue, seduto in ambulanza con lo sguardo incredulo e impietrito, è uno dei nostri bimbi del terremoto, uno dei bimbi di Nizza.
Oggi il bimbo di Aleppo è “virale”. Quanto durerà questa volta la mobilitazione da tastiera? L’inviato speciale dell’Onu per la Siria, Staffan de Mistura, ha sospeso l’attività della task force umanitaria per protestare contro la mancanza di una tregua nel Paese. A suo modo ha compiuto un “gesto simbolo”: ha sciolto la riunione dopo soli 8 minuti dalla convocazione dicendo che, così come stavano le cose, era inutile l’ennesimo incontro quando servono gesti concreti, non altre parole. O altre fotografie.
di Emanuela Vinai