Per la prima volta dopo 145 anni, il celebre omicidio di Ruggero Pascoli, il padre del poeta Giovanni, ha un nome. Anzi, tre: Pietro Cacciaguerra, mandante del delitto, colui che prenderà il posto di Ruggero nella conduzione della tenuta Torlonia a San Mauro; e Michele Della Rocca e Luigi Pagliarani esecutori dell’omicidio. Ne era convinto Giovanni Pascoli, vox populi lo sosteneva a gran voce da decenni, altrettanta certezza ha profuso l’accusatore Giovanni Imposimato, magistrato, politico e avvocato, presidente onorario aggiunto della Suprema Corte di Cassazione. La sua tesi ha fatto breccia sulle oltre mille persone presenti alla Torre di S. Mauro Pascoli nel tradizionale “Processo” storico organizzato ogni anno il 10 agosto (guarda caso la data del delitto Pascoli). Il Presidente del Tribunale, Bruno Amoroso, constatato lo schiacciante voto popolare, non ha potuto far altro che condannare i tre discussi personaggi, mai finiti in un’aula di tribunale. “Un autentico delinquente” – il mandante – e due “spregevoli personaggi”, i sicari, colpevoli di un “infame delitto” li ha definiti in questo Processo d’Appello organizzato da Sammauroindustria l’avvocato Imposimato.
Svelato un mistero, se ne aprono altri. Il Processo infatti ha ipotizzato un Appello in Cassazione nei prossimi anni contro Achille Petri, colui che affiancherà Cacciaguerra nella conduzione della Torre, e Alessandro Torlonia, presunto complice del complotto contro Pascoli sr.
Decisiva la testimonianza di Rosita Boschetti, la curatrice del Museo di Casa Pascoli, che ha scovato gli ultimi documenti sulla vicenda. In particolare l’incontro segreto tra Giovanni Pascoli, che stava indagando sul delitto che ebbe grande influenza su tutta la poetica futura dell’autore de La Cavallina storna, ed Ercole Ruffi, amministratore che prese il posto di Cacciaguerra nel 1875. Ruffi, secondo la Boschetti, disse al poeta che ci “aveva preso nel mezzo” (aveva trovato la verità) e che doveva smettere di fare indagini per non fare la fine del padre. Pascoli era convinto che di quel delitto i colpevoli fossero Cacciaguerra, Della Rocca e Pagliarani.
Anche Filomena Lucchi, un’altra testimone dell’epoca, raccontò i fatti all’allora pretore Giacomo Liverani, ma quel verbale (vide i due sicari col fucile dalle parti dell’agguato a Ruggero) sparì nel nulla e nessuno più la interpellò.
L’avvocato difensore Nino Marazzita ha provato a ribaltare il verdetto: “Il nome di Pascoli non può essere infangato violando un diritto basilare del nostro codice: nessuno può essere condannato se la sua colpevolezza non è certa al di là di ogni ragionevole dubbio”. La decisione però è stata schiacciante: nessun omicidio politico ma un delitto di natura economica. Cacciaguerra aveva l’interesse a prendere il posto di Ruggero nella conduzione della Torre (come poi avvenne). Non solo: ha sempre poi rifiutato qualsiasi aiuto alla famiglia Pascoli, anche le spettanze dovute, malgrado fossero poi finiti in miseria. Per non parlare di un caso di corruzione di cui fu coinvolto, quando procurò 26 voti falsi per l’elezione del repubblicano Ignazio Guiccioli, futuro Ministro delle finanze”.
Al Presidente del Tribunale, Bruno Amoroso, constatato che lo schiacciante voto popolare, non è restato altro che condannare i tre discussi personaggi, mai finiti in un’aula di tribunale. E soprattutto di rimettere alla volontà della pubblica accusa se procedere nei prossimi anni anche contro Achille Petri, colui che affiancherà Cacciaguerra nella conduzione della Torre, e Alessandro Torlonia, presunto complice del complotto contro Ruggero Pascoli. È stato così rovesciato il verdetto del 2001. Ci voleva il Centenario Pascoliano perché il poeta trovasse finalmente la verità.
Paolo Guiducci