Quasi un invito che suona anche come impegno – andare oltre… a un’emozione, oggi più che mai, tanto diffusa, la paura. Non è necessario essere grandi esperti per constatare quanto questa emozione la faccia ormai da padrone nelle nostre città. Ne parlava già due anni fa, lo psichiatra Vittorino Andreoli: viviamo “in una cornice di civiltà disastrosa”. Oggi, aggiungeva, “domina la cultura del nemico: la superficialità porta l’identità a fondarsi sul nemico. Se uno non ha un nemico non riesce a caratterizzare se stesso. Questa è una regressione antropologica”. E le cronache di questi giorni non fanno altro che confermare queste parole. Dalla vicenda Aquarius all’omicidio di Soumaila Sacko, dai continui femminicidi agli episodi di bullismo, e l’elenco, purtroppo, potrebbe continuare…
Domina la cultura del “nemico”, frutto dell’incapacità di indirizzare la paura o meglio della capacità di qualcuno di far presa sulle paure, che stanno generando odio sociale. Sia ben chiaro: la paura non esprime solo emozioni negative. C’è quella “sana” che si fa attesa per qualcosa da compiere o raggiungere. Basta pensare ai ragazzi che in questi giorni hanno gli esami scolastici. Sono quelle paure fisiologiche che irrobustiscono. Di contro, ci sono paure patologiche: sono quelle che bloccano e paralizzano, sfociando il più delle volte in frustrazione e rabbia. A livello sociale, ciò avviene quando si ha a che fare con ciò che è diverso e mette in discussione le certezze, ritenute ormai acquisite: così, l’altro diventa una minaccia da cui difendersi. Oggi sono i migranti, qualche decennio fa erano gli albanesi e prima ancora gli ebrei. Giustamente il cardinale Gualtiero Bassetti afferma: “Non mi nascondo quanto sia complesso il fenomeno migratorio: risposte prefabbricate e soluzioni semplicistiche hanno l’effetto di renderlo, inutilmente, ancora più incandescente”. E, aggiungiamo, di rinchiuderlo in quel circolo vizioso di cui si autoalimentano i social, amplificando a scapito della loro rilevanza, pertinenza e affidabilità contenuti infondati o, peggio, falsi. Così le paure montano in una sorta di spirale che sembra resistere a qualsiasi tentativo di svelamento o smentita del falso. Che fare? C’è una via d’uscita? “Il miglior antidoto contro le falsità – suggerisce Papa Francesco – non sono le strategie, ma le persone: persone che, libere dalla bramosia, sono pronte all’ascolto e attraverso la fatica di un dialogo sincero lasciano emergere la verità”. Un percorso impegnativo che richiama la fatica e la bellezza del pensare e dell’impegno comunitario nella conoscenza. Il tutto a partire dall’ascolto, ritmato dai giusti tempi del silenzio e del discernimento. Solo così svilupperemo gli anticorpi necessari per riconoscere limiti e problemi e, nella misura del possibile, vincere le paure sociali.
Vincenzo Corrado