Migranti e rifugiati – Incontro al centro parrocchiale di Morciano – I migranti bussano alla porta, ci interpellano, ci mettono alla prova. Noi umanamente come rispondiamo? Ci mettiamo in gioco e siamo accoglienti oppure restiamo indifferenti e pensiamo a curare solo il nostro orticello?
Si è parlato di questo e tanto altro, domenica 28 febbraio, all’assemblea pubblica Ecco. Sto alla porta e busso organizzata al centro parrocchiale di Morciano dalle parrocchie della zona pastorale di Morciano e San Clemente.
Ad intervenire e animare la tavola rotonda, moderata dalla giornalista de ilPonte Alessandra Leardini, ci hanno pensato Valerio Corghi, responsabile coordinamento regionale immigrazione Caritas-Reggio Emilia, don Giorgio Giorgetti, teologo e biblista responsabile Migrantes dell’Arcidiocesi di Pesaro e Paolo Denina, operatore della comunità Papa Giovanni XXIII per “Mare Nostrum”.
L’obiettivo è stato non solo quello di far conoscere meglio il fenomeno delle migrazioni, sfatando i luoghi comuni più diffusi, ma anche di capire come le nostre comunità cristiane possono accogliere questi migranti (arrivati a 505 in provincia contro i 335 dello scorso giugno: un record) e come fare in modo che questa accoglienza non si fermi ad un livello sterile, fine a se stesso, ma diventi una occasione di fraternità e condivisione, nell’Anno della Misericordia, con persone di altre culture.
L’abbattimento dei pregiudizi parte da numeri concreti. L’Italia non è più nelle condizioni economiche di ricevere queste persone? Come ha sottolineato Corghi, ad accogliere i profughi, oggi, sono in particolare i paesi in via di sviluppo (86%), dunque accoglie, contrariamente a quanto si pensa, chi sta peggio. Le radici del fenomeno sono economiche ma anche geopolitiche, perché si scappa dalle guerre e dalle violenze. L’Italia è “invasa”? “Sul totale della popolazione, pari circa a 60 milioni, gli stranieri sono 5 milioni, cioè appena l’8,3% dei residenti”.
Altri numeri importanti: nel 2015 sono morti 4.500 profughi e il nostro paese accoglie circa 77mila richiedenti asilo politico. I migranti ospitati sono 103.792, 27mila dei quali in parrocchie, santuari e monasteri. Dal generale al particolare: al 31 dicembre 2015 i richiedenti asilo politico in Emilia Romagna sono 6.494. “Bisogna mettersi in testa – ha sottolineato Corghi – che siamo un’unica famiglia umana, perciò bisogna favorire l’integrazione e l’inserimento sociale, il dialogo e la comunione, e tessere relazioni, perché l’immigrazione è un segno dei tempi”.
Una risposta al problema dell’immigrazione arriva dal Vangelo della Misericordia. L’intervento di Don Giorgio ha avuto un taglio prettamente biblico: a partire dal Vangelo si è riflettuto sul fenomeno e alla luce della parola di Dio il teologo ha voluto mettere in evidenza come lo straniero sia una risorsa per la comunità. “Avere un cuore di pietra fa elevare muri e barriere, mentre il cuore di carne ci fa sentire fratelli e figli di unico Padre”.
Il biblista non ha usato mezzi termini: “La parola di Dio ci aiuta ad incontrare culture e a spenderci per gli altri. La storia va sempre avanti e Dio ci parla tramite quanto accade: l’immigrazione è un dono e va inserita in un cammino di verità”.
I profughi visti dalla strada. Paolo Denina ha raccontato la sua esperienza con gli ospiti dell’Hotel Royal di Cattolica. Insieme ad altri operatori della Comunità Papa Giovanni XXIII, è lui ad occuparsi del loro inserimento nel territorio e ad aiutarli, in particolare, a districarsi con la burocrazia. “Da ottobre, al Royal, abbiamo 57 ragazzi pakistani, altri 7 provenienti dal Gambia e 4 dal Mali. Il più grande ha 35 anni. Per loro il nostro paese rappresenta un sogno, restano spiazzati dal benessere italiano. Molti svolgono lavori socialmente utili per sentirsi parte integrante della società, grazie al progetto attivato con il Comune di Cattolica per la cura delle scuole e dei beni pubblici. Sono davvero volenterosi”, afferma Paolo. “Il desiderio della maggior parte di questi ragazzi è di poter ricongiungersi con le famiglie rimaste in patria, possibilmente qui in Italia perché nei loro paesi non è possibile vivere sereni”.
Alle belle parole sull’accoglienza devono però seguire azioni quotidiane. Alcune comunità parrocchiali avrebbero immobili sfitti da mettere a disposizione, ma quel che preoccupa di più è la preparazione, il saper essere pronti ad accompagnare queste persone all’autonomia. Come dice Enzo Bianchi, priore della comunità di Bose, occorre sapersi e sentirsi tutti stranieri.
Tommaso Mazzuca