Anche quella che abbiamo sempre creduto una delle più grandi democrazie del mondo ha mostrato il suo lato peggiore. In realtà abbiamo visto in America quel che accade ogni giorno anche a casa nostra (con le dovute differenze). Infatti chi immagina che si tratti un momento isolato, di una storia americana, di un incidente sporadico, di un qualcosa che è lontanissimo da noi, dal nostro mondo, dal nostro modo di vivere, beh forse pecca di ottimismo o di una certa miopia.
La violenza non è soltanto il fatto eclatante, la bomba. L’odio è qualcosa di immensamente più subdolo, si nutre di piccoli atti, di gesti apparentemente innocui.
La violenza si nutre di tante piccole e grandi parole d’odio con le quali è condito il web e ogni ambiente reale o virtuale del nostro vivere. È un virus ancor più difficile da debellare. Il linguaggio di odio, nei social, nella comunicazione di ogni tipo, nella politica, nella vita di ogni giorno, non porta e non porterà mai a nulla di buono e di costruttivo.
Non è espressione di un libero pensiero. È violenza. E di questa deriva dobbiamo tutti sentirci responsabili o quanto meno chiamati in causa. Ad ogni livello.
Se poi chi incita all’odio ha un ruolo di responsabilità, le cose cambiano. In peggio. Perché non è vero che dalle parole ai fatti ci sia così tanta strada. Le cronache di questi giorni lo hanno dimostrato per l’ennesima volta e in modo inequivocabile. Dobbiamo reimparare a confrontarci, ad incontrarci.
Anche se con idee diverse, soprattutto se con idee diverse. O diventeremo un mondo di selfie, di individui sempre più soli che mettono al primo posto se stessi e non sanno guardare al prossimo. Se non per denigrarlo.
In questo, ed è una coscienza che deve crescere nei cattolici, i media ecclesiali servono a costruire un orizzonte di senso. A vedere e raccontare cose che altri non vedono. A difendere uno spazio di libertà nella verità; e a offrirlo a tutti in un tempo in cui sia la verità che la libertà di pensiero che la condivisione sembrano merce sempre più rara. Come diceva Papa Francesco nel 60° anniversario dell’UCSI: “abbiamo bisogno di media che sappiano distinguere il bene dal male, ricostruire la memoria dei fatti, lavorare per la coesione sociale”