Il 2019 ha lasciato più di uno strascico sul territorio della nostra provincia, e insieme ad esso un messaggio molto semplice: i ponti sono importanti. Per questo il presidente dell’Ordine degli Ingegneri di Rimini lancia la sua, personalissima, provocatoria, interessante: “Ode ai ponti chiusi”.
Giusto Andrea Barocci, presidente dell’Ordine degli Ingegneri di Rimini?
“Tutti, proprio tutti, abbiamo ricevuto il messaggio che i ponti sono importanti, strategici. Gli studenti insonnoliti che sull’autobus o nell’auto dei genitori, cercando di isolarsi dal mondo con le cuffie dei cellulari, si accorgono che il tragitto mattutino è più lungo (non è detto che si accorgano che è diverso); i lavoratori di qualunque ordine e grado, che nella frenesia quotidiana del risparmio dei 30 secondi si trovano invece a dover inserire nelle 24 ore della giornata nuove, insolenti, mezz’ore non calcolate. I bar, che godono di nuova linfa grazie alle chiacchiere generate e agli esperti di passaggio, pronti a dare sfoggio delle nozioni acquisite tra un caffè e l’altro. I tecnici, quasi necrofagi bramosi di numeri per sapere se le valutazioni fatte a occhio siano vicine alla situazione reale (io sono più o meno tra questi…)”.
La sua sembra una posizione provocatoriamente da poesia alla Tonino Guerra. Ci sono però i disagi…
“Le istituzioni devono gestire e arginare il problema. Anche la politica ha ricevuto il messaggio dell’importanza dei ponti, quella politica che tende a trovare colpevoli o a smarcarsi da colpe.
I ponti sono l’unica opera d’ingegneria che unisce invece che dividere; e in quanto opera fatta dall’uomo, nonostante per qualcuno debbano essere considerati eterni, hanno come tutte le cose un periodo di vita più o meno lungo in funzione del tipo di costruzione, dell’uso e della manutenzione”.
La situazione, dunque, non è rosea.
“I ponti della provincia di Rimini non sono messi peggio di tanti altri in giro per l’Italia, tante volte l’abbiamo detto; purtroppo molte di queste opere sono a «fine vita» ed è un bene che vengano chiuse o se ne limiti l’utilizzo prima del disastro; un ponte che ha lavorato per 60 o 70 anni è giusto che vada in pensione o che si prenda qualche mese per interventi di rinforzo. Purtroppo i ponti (così come le briglie, così come le gallerie, ecc…) diventano importanti solo quando non funzionano”.
Morta una infrastruttura se ne fa un’altra?
“Il tasto dolente è il non voler accettare questa realtà e non essere stati in grado di pianificarla in precedenza. E non si può neppure parlare di mancanza di fondi, perché come succede puntualmente, con la scusa dell’emergenza cominciano a girare cifre da capogiro che, se spese in tempi di pace, avrebbero permesso di avere opere nuove e funzionali, pianificazione dei cantieri e della viabilità, affidamenti d’incarico rispettosi del codice dei contratti.
Gli ultimi mesi e anni ci hanno fatto credere che l’emergenza sia la normalità; la vera sfida del prossimo periodo sarà fare in modo che l’emergenza non esista, perché dovremo diventare talmente bravi nell’immaginazione da poter conoscere, prevenire e programmare le situazioni critiche.
Anche la chiusura al traffico del ponte di Tiberio (non per motivi di sicurezza, precisiamolo) ci da modo di vedere la nostra viabilità e infrastrutture sotto un’altra ottica e, se vogliamo, di goderne maggiormente”.
Dunque ribadisce la sua “Ode ai ponti chiusi”?
“Ode quindi ai ponti chiusi, che ci permettono di vedere le cose sotto un’altra prospettiva; e ci insegnano anche, da cittadini, a fare richieste ai politici di passaggio (che siano attuali o potenziali) che vanno oltre al selfie in piazza”. (a cura di Paolo Guiducci)