Le Acli di Rimini, all’interno del progetto Le imprese delle donne, cofinanziato dalla Regione Emilia Romagna nel bando a sostegno della presenza paritaria delle donne nella vita economica del territorio, hanno promosso una indagine conoscitiva sulle donne lavoratrici e imprenditrici, come premessa per sviluppare e suggerire azioni positive nella rimozione di tutti quelli ostacoli che spesso rendono problematico il raggiungimento effettivo della parità uomo-donna.
Si riducono le distanze di genere
Nel 2011, quando la crisi cominciava a far sentire i suoi morsi, in provincia di Rimini lavoravano 81mila uomini e 58mila donne. A fine 2018 i primi, dopo aver perso qualcosa nel corso degli anni, sono tornati ai numeri di partenza, mentre l’occupazione delle donne cresceva costantemente sino ad attestarsi a quota 71mila. La distanza assoluta di genere si è così ridotta da 23mila a 11mila. Senz’altro un bel recupero. Con l’impressione che tante donne si siano dovute presentare sul mercato del lavoro per compensare la crisi occupazionale degli uomini.
Qui va precisato che per l’Istat, che compie le rilevazioni, si è occupati se nella settimana di riferimento si lavora anche solo un’ora. Che, come è noto, non consente di vivere. Aggiungendo che l’Italia deve ancora recuperare il monte ore di lavoro pre crisi, è molto probabile che anche dalle nostre parti a crescere siano i lavori precari e instabili. Insomma, molte teste, ma poco lavoro.
Un recupero che comunque ha consentito al tasso di occupazione delle donne (le donne che lavorano sul totale) di Rimini di riallinearsi, dopo uno storico ritardo, a quello regionale: 61.7 per cento il primo, 62.5 per cento il secondo.
Osservando la distribuzione settoriale delle donne dipendenti, la loro presenza è minima nei trasporti (18 per cento degli occupati), raggiunge il 33 per cento nel manifatturiero e il 58 per cento negli alberghi e ristoranti, ma è massima nell’istruzione e nella sanità, rispettivamente il 78 e il 79 per cento dell’occupazione in quel settore.
Restano le differenze retributive
L’aumento dell’occupazione delle donne, certamente positivo, non deve però far dimenticare le altre distanze che ancora persistono. A partire dal numero di giornate lavoratine annue. Un esempio: nel turismo, dove sono la maggioranza, un uomo lavora 130 giorni l’anno, una
donna solo 121 giornate. Ma se la differenza fosse solo questa, si potrebbe dire che è minima. Non è così. Perché le donne prendono anche meno. In tutti i settori: dal 10 per cento in meno nel turismo, come retribuzione giornaliera, al 16 per cento nella sanità, al 18 per cento nella manifattura.
Meno giornate lavorative e pagate meno: non è difficile arrivare alla conclusione che alla fine dell’anno portano a casa meno degli uomini. Le ragioni di questo ritardo sono diverse, alcune storiche e sociali (come le poche donne che, all’Università, si iscrivono ad una facoltà tecnica), altre sono la conseguenza di servizi di assistenza, per l’infanzia, ma anche per gli anziani, insufficienti e non in linea con le trasformazioni del lavoro (asili che chiudono quando le mamme sono ancora al lavoro).
Donne d’impresa
Le donne, però, non svolgono solo lavori alle dipendenze. Tante sono imprenditrici e dirigono aziende importanti. In provincia di Rimini le imprese con titolarità femminile sono 7mila, su un totale di 34mila. Un po’ più di una su cinque. Principalmente concentrate nel settore del commercio e del turismo, e con sorpresa nell’agricoltura.