Impossibile non notarle. Dallo scorso aprile, infatti, la nostra Riviera (e la nostra Rimini) sono state oggetto di una singolare invasione: ad ogni angolo della strada hanno cominciato a spuntare, come funghi, biciclette nere e gialle, tutte identiche tra loro. Sono le oBike, l’ultima novità legata a quel modello tutto nuovo di intendere l’economia e la comunità: la cosiddetta share economy, l’economia della condivisione.
Ma come possono coniugarsi share economy, gli smartphone che tutti noi abbiamo sempre tra le mani e migliaia di biciclette sparse per la città? Cerchiamo di fare chiarezza.
Di cosa stiamo parlando?
oBike, ideato dal colosso asiatico oBike Asia Pte. Ltd & OPG Asia Pte, con sede a Singapore, è un servizio di “bike-sharing”, ossia di condivisione di biciclette. Prevede, cioè, la possibilità per chiunque aderisca al servizio di prendere una delle tante biciclette sparse per la città, utilizzarla per spostarsi a piacimento e, una volta giunti a destinazione, lasciarla a disposizione di eventuali altri utenti, pagando il servizio in base al tempo di utilizzo.
L’obiettivo? Incentivare una mobilità accessibile a tutti, conveniente e, soprattutto, ecosostenibile. Con una caratteristica peculiare: il servizio oBike è basato su una modalità di utilizzo definita ’a flusso libero’, ovvero con possibilità di restituire la bicicletta in punti diversi da quello di prelievo, rendendo possibile il funzionamento del sistema anche senza l’accoppiamento bici-stallo, come invece avviene con il servizio Mi Muovo in Bici, già diffuso e conosciuto nelle città italiane. In sintesi, dunque: prendi la bici più vicina, lasciata lì dal precedente utilizzatore, la usi e la lasci dove vuoi (nei limiti del buon senso e dell’educazione). Ma come accedere a questo servizio? Quanto e come si paga?
Il funzionamento
Utilizzare il servizio è abbastanza semplice. Innanzitutto occorre scaricare sul proprio smartphone, gratuitamente, l’applicazione ufficiale del servizio, chiamata proprio oBike. Una volta fatto bisogna iscriversi, inserendo i propri dati e il metodo di pagamento che si preferisce (carta di credito o conto PayPal).
A questo punto è possibile, sempre attraverso il cellulare, individuare la bicicletta più vicina: tutte le oBike, infatti, sono dotate di un sistema di localizzazione, che permette di comunicare all’utente dove si trovino tutte le biciclette a lui più vicine, in base alla sua posizione. Una volta scelta e raggiunta una delle biciclette, occorre utilizzare lo smartphone per scannerizzare il codice (QR Code) presente sul manubrio: così facendo viene sbloccato l’antifurto della bici e il conteggio dei minuti di utilizzo comincia a partire.
Ora la bici è utilizzabile e, una volta a destinazione, bisogna bloccare l’antifurto manualmente (una piccola leva che blocca la ruota posteriore): così facendo il minutaggio si ferma e, in base alla tariffa, viene scalato automaticamente, dal sistema di pagamento inserito, l’importo corrispondente. Tariffe che partono da un minimo di 50 centesimi ogni 30 minuti, ma che possono anche aumentare. Ma chi, o cosa, decide quale tariffa viene applicata? Nella sostanza: l’educazione.
Maleducazione… condivisa
Sì, perché purtroppo, molto spesso, oltre alle biciclette sono stupidità e maleducazione ad essere diffuse e condivise. Il non dover lasciare le oBike, ai fini del pagamento e del termine del servizio, in posteggi dedicati, fa sì che si verifichino casi di biciclette lasciate in mezzo alla strada, sui marciapiedi nei percorsi dei disabili, davanti alle porte dei negozi o, in casi ancora più estremi, nei cespugli dei parchi, in stagni e laghi e, addirittura, sugli alberi.
E a questi episodi vanno aggiunti quelli legati alla “furbizia”, come la tendenza, diffusa in alcune città, di staccare il sellino della bici e portarselo in ufficio, in modo da essere sicuri che nessun altro la prenderà, appropriandosi di fatto di un mezzo che deve essere a disposizione di tutti. Proprio per questi motivi, la stessa azienda fornitrice del servizio ha previsto un sistema di punti, in base al quale cambiano le tariffe di utilizzo. Nello specifico: al momento dell’iscrizione, nella modalità già spiegata, ogni iscritto riceve 100 punti.
Qualora l’utente metta in pratica comportamenti scorretti, i punti vengono scalati in base alla gravità della violazione. E, a seconda della quantità di punti posseduta, si applica all’utente una diversa tariffa, che da quella base di 50 centesimi può arrivare fino a 10 euro (ogni 30 minuti). Non sempre però, visti gli episodi citati, questo sistema sembra funzionare. Evidentemente la stupidità batte l’avarizia.
Capolinea?
Nonostante oBike, in Italia e in Romagna, sia esploso da poco tempo, potrebbe già rischiare di scomparire. L’azienda di Singapore, fornitrice del servizio, ha infatti recentemente dichiarato fallimento, strozzata da una fitta maglia di tasse e restrizioni governative. Domanda, dunque, spontanea: che ne sarà ora delle oBike? Dobbiamo già dimenticarcele? Non necessariamente.
Nello Stivale, infatti, a gestire il servizio è un’azienda tutta italiana, la Srl oBike Italia, concessionaria che, al contrario della casa madre, naviga in ottime acque. E proprio questa gestione in concessione potrebbe salvare le bici gialle, almeno nel nostro territorio. “Il servizio andrà avanti. – tranquillizza infatti Andrea Crociani, general manager di oBike Italia – La nostra è una società controllata ma che non ha un diretto collegamento aziendale, e può essere un’occasione per ripartire senza il peso dell’azienda madre. Abbiamo già sviluppato il know how che ci consentirebbe di andare avanti indipendentemente. Il prossimo passo sarà quello di cercare nuovi investitori e magari lanciare anche una campagna di crowdfunding, per coinvolgere tutta la cittadinanza”.
L’invasione delle bici gialle potrebbe, dunque, continuare. Al lettore la scelta se sia una buona o una cattiva notizia.