È più importante un albero che cade o una foresta che cresce? Lui non ha dubbi: anche se le cose che non vanno sono ancora tante, il mondo sta lentamente cambiando grazie ai tanti uomini e donne di buona volontà che ogni giorno si impegnano per un domani migliore… Lui è Michele Dotti, poliedrico artista della formazione (EducAttore, come si definisce), protagonista qualche sera fa del secondo incontro del corso di missiologia organizzato in Diocesi, incentrato quest’anno sul tema delle diseguaglianze sociali. Una sorta di conferenza-spettacolo la sua, per raccontare, tra battute, ragionamenti e giochi di ruolo, i grandi problemi ancora da risolvere ma senza cedere alla facile tentazione del “tutto va male, anzi sempre peggio…”
Perché – e Dotti l’ha ripetuto senza stancarsi – non è vero che oggi si stia peggio di ieri. Anzi, dati alla mano, è dimostrato il contrario. Prendiamo la fame. Vent’anni fa le persone che morivano ogni giorno per mancanza di cibo o per cause ad essa collegate erano circa 41 mila; oggi sono scese a 24 mila. Nei paesi poveri i bambini che non arrivavano ai 5 anni di età erano il 28% mezzo secolo fa; oggi sono il 10%. E ancora: dal 1950 ad oggi le persone che vivono al di sotto della soglia di povertà sono passate dal 50 al 25% della popolazione. Dal 1990 ad oggi 1,2 miliardi di persone hanno guadagnato l’accesso all’acqua potabile, gli analfabeti dal 1970 al 2000 sono scesi dal 35 al 21%, negli ultimi 16 anni i bambini lavoratori sono diminuiti del 32%. E buone notizie vengono anche dal fronte ambientale: si allargano le foreste, l’aria è più pulita, diminuisce l’inquinamento (solo nei paesi dell’Unione europea, dal 1990 al 2001, le emissioni di particolato fine sono calate del 36%).
Non per ottimismo ma per “attivismo”
A chi lo accusa di eccesso di ottimismo, Dotti replica che l’ottimismo non c’entra. Semmai quello che serve per un domani migliore è un grande «attivismo». Che per lui significa soprattutto impegno educativo perché, citando addirittura Confucio: “la natura dell’uomo, all’origine, è buona e onesta ma, se non è ben educato, la sua natura si altera…”.
L’educazione dunque come chiave di volta per costruire una futuro di giustizia e pace, come recitava il titolo dell’incontro. Ma un’educazione fatta non già di inutili sermoni bensì di buone e concrete pratiche, utili per il mondo ma anche per se stessi («dovremmo imparare ad essere più egoisti» dice). Installando ad esempio pannelli solari risparmieremmo sul riscaldamento di casa ma contribuiremmo anche a limitare il consumo di combustibili solidi che sono la causa prima delle guerre nel mondo. Scegliendo il commercio equo e solidale al posto dei prodotti delle multinazionali, faremo acquisti migliori ma daremmo anche una mano per ridurre le situazioni di sfruttamento nel paesi poveri…
Dotti va avanti per oltre due ore con tanti esempi per dimostrare l’assurdità dell’attuale modello di sviluppo che distrugge la natura a vantaggio dei soliti noti (servono 12 ettari di terreno all’anno per mantenere i consumi di un americano mentre ne basta mezzo ettaro a un povero eritreo). Una diseguaglianza abissale che non può più reggere oggi ai tempi del “villaggio globale” dove tutti sanno tutto di tutti (è pensabile che gli affamati del Corno d’Africa, dopo aver visto una puntata di «Masterchef», continuino a restare beati e tranquilli là dove sono?…).
Due facce della stessa medaglia
Per l’“attivista” Dotti l’eliminazione delle diseguaglianze è un processo inarrestabile perché gli uomini sono fatti per cooperare e con l’attuale modello di sviluppo ci perdono tutti. Come non vedere che, se nei paesi poveri si muore per fame, nei paesi ricchi ci si ammala per obesità? Come non accorgersi che decentrare la produzione dove la mano d’opera costa meno significa aumentare la disoccupazione a casa nostra ma anche lo sfruttamento nel sud del mondo? Come non comprendere le interconnessioni tra i contadini del Centroamerica costretti a coltivare oppio dai narcotrafficanti e i giovani occidentali vittime della droga?
Insomma, è la tesi di Dotti, l’interdipendenza globale non produce vincitori e vinti ma solo vittime da entrambe le parti. Occorre dunque passare da una logica di competizione a una logica di cooperazione, superando gli squilibri attuali e garantendo a tutti condizioni di sviluppo. Non perché siamo buoni e generosi. Ma semplicemente, perché conviene anche a noi…
Il prossimo incontro del ciclo ”I Martedì del Mondo” il 27 febbraio è con Domenico Guarino del Tribunale Internazionale dei Popoli su “Normativa esistente in difesa dei migranti e abusi ricorrenti”.
Alberto Coloccioni