Per il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, è un “passo storico”: la vigilia di Natale ha segnato infatti l’entrata in vigore del trattato internazionale sul commercio di armi (in inglese ‘Arms trade treaty’ o Att). Ratificato da 61 Stati e firmato complessivamente da 130, il documento tenta di introdurre il principio della responsabilità nel settore – finora in larga parte senza regole – della vendita di armamenti: prevede, tra l’altro, che ogni Stato aderente renda conto pubblicamente delle vendite che effettua. Queste non potranno avvenire quando ci sarà il rischio di una violazione dei diritti dell’uomo, anche in maniera mediata, cioè se il destinatario finale è un Paese terzo o un movimento guerrigliero.
Il valore simbolico dell’entrata in vigore a ridosso del Natale è doppio: le Chiese sono state infatti tra le più forti sostenitrici del nuovo trattato, soprattutto nei momenti in cui i negoziati rischiavano di fallire, in particolare per le resistenze di tre grandi potenze mondiali, che sono anche tra le nazioni che più guadagnano da questo business: Stati Uniti, Russia e Cina. Ad oggi Washington ha firmato il documento, ma senza arrivare alla ratifica finale, mentre Mosca e Pechino non vi aderiscono. “È particolarmente importante”, però che l’Att sia stato ratificato da “cinque dei dieci più grandi esportatori d’armi al mondo: Francia, Germania, Italia, Spagna e Regno Unito”, aveva spiegato già ad aprile il reverendo Olav Fykse Tveit, segretario generale del Consiglio mondiale delle Chiese (Wcc nella sigla inglese), che raccoglie soprattutto denominazioni protestanti. Proprio il Wcc era stato tra i sostenitori più attivi del trattato in Africa. Il contributo africano al trattato è stato quello di “assicurare che le armi leggere e le relative munizioni vi fossero incluse”, ha spiegato Dube, portavoce dell’iniziativa, specificando inoltre che proprio queste sono responsabili della morte di “centinaia di migliaia di persone” ogni anno, soprattutto nel continente nero.
Da anni impegnata su questo fronte è, del resto, anche la Chiesa cattolica. Particolarmente forte fu l’appello lanciato durante il secondo Sinodo sull’Africa, nel 2009: nelle ‘proposizioni’ inviate a Benedetto XVI i padri sinodali sottolinearono come i flussi d’armi verso il continente fossero in aumento e auspicarono la fine del commercio illegale, una maggiore trasparenza di quello legale e soprattutto un embargo sulle armi leggere. Nella stessa sede era evidenziata anche “la stretta relazione tra lo sfruttamento delle materie prime, il commercio delle armi e un’instabilità mantenuta intenzionalmente”.
Davide Maggiore