Non è precisamente un nuovo Messale ma la riedizione di quello voluto da Paolo VI. Si tratta comunque di un’opera alla quale si è lavorato per 20 anni.
Proprio questa lunga attesa interroga e incuriosisce le persone: quali novità contiene, quali modifiche e cosa comporta la sua introduzione per la liturgia e per la vita delle persone e dei fedeli?
Don Paolo Tomatis non è soltanto un grande esperto in materia di Liturgia e collaboratore alla redazione del Messale. Docente di Liturgia presso l’Istituto di Liturgia Pastorale Santa Giustina di Padova (lo stesso cui hanno studiato don Giuseppe Vaccarini, don Andrea Turchini e don Marcello Zammarchi, solo per citare alcuni nomi di sacerdoti riminesi conosciuti), ha di recente pubblicato Al servizio del dono (Elledici), una raccolta di articoli pubblicati sul settimanale diocesano torinese “La voce e il tempo”, sul tema della nuova edizione del Messale, un testo chiaro e fruibile a tutti, anche non esperti. Don Tomatis è stato l’ospite centrale della puntata de “I Giorni della Chiesa” di IcaroTV tutta dedicata al Messale.
Partiamo dall’inizio, don Tomatis. Che cos’è un Messale?
“Il Messale è un libro liturgico utilizzato durante la messa, all’inizio nel luogo dove il presbitero presiede, dall’offertorio in avanti arriva sull’altare.
Su questo libro ci sono testi, preghiere e parole da pronunciare, e rubriche, parola che viene dal latino ruber, rosso: indica le cose che si debbono fare.
Utilizzato soprattutto dal sacerdote, il Messale contiene però le risposte dell’assemblea, e descrive anche i gesti destinati all’assemblea stessa, per cui possiamo a buon diritto definirlo come il libro liturgico che guida la preghiera dell’eucaristia della Chiesa.
Vi si trovano le principali preghiere, orazioni, preghiere eucaristiche, disposizione dei gesti, le parti a scelta, le preghiere per ogni giorno del calendario liturgico relativa all’eucarestia, e lo spartito. Tutte le indicazioni per celebrare l’eucaristia secondo indicazioni della Chiesa”.
Quali sono i motivi che hanno portato ad una nuova edizione?
“Sono fondamentalmente tre i motivi che stanno alla base di questo lungo lavoro.
La terza edizione latina del libro liturgico del messale è datata 2002.
Nascono in latino per diffondersi poi in tutte le nazioni, chiedendo una traduzione dei testi ma anche un adattamento dei gesti e della liturgia, con possibilità cioè di inserire parti proprie della propria cultura e nazione.
Questo lavoro si basava – e siamo al secondo motivo – sul documento della Congregazione del Culto del 2001 Liturgia autenticam, che richiedeva traduzioni più letterali e più fedeli. Nacque un lungo lavoro di traduzione delle parole e del messale secondo le regole che ci si era poste, e con una traduzione ulteriore, perché la nuova rischiava di risultare più faticosa della precedente all’ascolto. Da qui tutto il lavoro per migliorare dove possibile e dove la traduzione era ritenuta peggiorativa, ritornando alla versione precedente.
Il terzo motivo che ha portato al ‘nuovo’ Messale è la nuova traduzione della Bibbia della Cei.
Anche la Bibbia periodicamente ‘richiede’ un processo di ritraduzione testi. La precedente versione recepiva già i lezionari della liturgia nel 2008.
Nel nostro caso si trattava di coordinare alcune parti della Sacra Scrittura con alcune parti della liturgia: il caso tipico è il Padre Nostro. Si è deciso di integrare nel Messale la nuova traduzione del Padre Nostro, con l’aggiunta dell’anche (come anche noi li rimettiamo) e soprattutto del non abbandonarci alla tentazione.
Questo lavoro di traduzione ha comportato il superamento di piccoli scogli. La traduzione letterale della preghiera di consacrazione, ad esempio, avrebbe richiesto di riportare: versato per voi e per i molti.
Dopo lunga discussione, i vescovi italiani hanno chiesto di lasciare intatta la traduzione precedente per non creare divisioni nel cuore della messa e disagi, scelta accolta da Benedetto XVI e dalla Congregazione per il culto”.
Se lo chiedono in tanti, anche tra i non addetti ai lavori. Quali sono le maggiori novità contenute nel Messale?
“Alcune era dovute, come inserimento di nuovi santi, pensiamo ai papi, ma anche nuove feste che dovevano essere sottolineate. C’è anche una maggiore apertura all’universalità della Chiesa: nella memoria dei giorni feriali si potrà pregare, ad esempio, per i martiri delle Filippine, dell’Ucraina e dell’Uganda, offrendo alla preghiera delle singole comunità un respiro più universale.
In secondo luogo, siamo di fronte a piccole novità testuali. Il ‘ Kyrye eleison’ è certamente meno intelliggibile di ‘ Signore pietà’, tuttavia fa risuonare nel canto una preghiera antica di grande valore ecumenico, che rimanda direttamente ai vangeli, sapendo che già preghiamo nella liturgia con termini ebraici come amen, alleluja e osanna, che non ci siamo troppo preoccupati di tradurre quanto di entrare dentro al testo.
In realtà dire ‘Signore pietà’ o ‘Kirye eleison’ non cambia molto. Rappresenta invece l’occasione di riappropiarci di un gesto che non fa parte semplicemente dei riti penitenziali: stiamo di fronte ad un’immagine del Signore misericordioso, cerchiamo il Suo volto, Signore abbi misericordia diciamolo in italiano o in greco ma ancor meglio cantiamolo.
I riti iniziali non debbono essere troppo veloci o ‘giocati’ soltanto nel rapporto vis a vis tra il sacerdote e l’assemblea, ma vissuti tra sacerdote, assemblea e Signore misericordioso.
Un’altra novità del Messale è rappresentata dalla formula ‘fratelli e sorelle’: ci rammenta un linguaggio inclusivo e un’attenzione al linguaggio che deve accompagnarsi alla realtà e alle differenze di genere, età, cultura ed etnia tra coloro che vivono l’eucaristia”.
La partitura musicale è un’inutile complicazione o l’indicazione precisa che non riguarda coro ma colui che presiede e risposta assemblea?
“Altre culture (Africa, Spagna, Messicoo Stati Uniti, Romania) sono più preparate di noi ad una voce che quando si fa canto acquisisce solennità e invita a pregare.
Non si tratta di cantare di più o tutto ma cominciare a cantare almeno alcune parti: il Santo o Alleluja non ha senso siano pronunciati. Sarebbe come una canzone di Sanremo recitata senza musica: le parole perdono spessore”.
Alcuni sacerdoti della Diocesi si aspettavano segni più evidenti per la Comunione.
“Il Messale sottolinea la possibilità di prendere la comunione sotto le due specie.
Inoltre prevede anche l’utilizzo di un’ostia più grande, e di dare rilievo alla frazione del pane, non soffocata dai gesti di pace o altro.
Anche le parole sottolineano la maggiore attenzione: dire subito ‘Ecco l’agnello di Dio’, per evidenziare il gesto dell’eucaristia che ci apre gli occhi a riconoscere il Signore nel corpo spezzato”.
C’è chi teme che alcune introduzioni (specie Kyrie eleison) non favoriscano la partecipazione dei giovani.
“I giovani sono più allenati ad accogliere il paradigma della differenza, ad entrare dentro un linguaggio ‘altro’. Cantano i canti di Taizè pensandoli latino.
La vera differenza che intende promuovere il Messale è quella del coinvolgimento sensoriale, e non solo intellettuale.
Quando nei riti iniziali ci poniamo davanti allo sguardo del Signore siamo di fronte a una esperienza di Lui.
Il nuovo messale ci invita a vivere bene la liturgia, a ritrovare gesti, magari vissuti finora in maniera un po’ scontata, nella loro straordinaria potenzialità”.
Dubbi, attese e perplessità: ma è l’occasione per rinnovarsi
Come entra nel cuore della Messa vissuta insieme ogni giorno e ogni domenica questo Messale?
“Dal punto vista pastorale, l’opera era molto attesa ma all’atto pratico non ha soddisfatto tutte le aspettative.
– ammette don Marco Casadei, della fraternità sacerdotale dell’Alba di Riccione – Mi attendevo, ad esempio, una maggiore sottolineatura del soggetto celebrante che non è il prete anche se è lui ad utilizzare in maniera quasi esclusiva il Messale.
Sarebbe stato significativo evidenziare l’assemblea come soggetto. Invece la seconda preghiera di consacrazione traduce ministri ordinati con una serie di sottilineatura senza citare assemblea dei battezzati o assemblea che celebra”.
E la grande proposta del canto? “Il canto è luogo fomativo e performativo dove si forma l’assemblea che celebra. Un luogo da privilegiare molto, dove non si confondono i ruoli e le competenze ma si impastano: le voci diverse diventano sinfonia”. Don Casadei è invece perplesso sulla introduzione del Kyrie eleison.
“Tradurre è un difficilissimo esercizio di equilibro, come camminare sulle acque, ma forse i tra- duttori non sempre hanno chiaro il destinatario dell’opera. Kyrie convoca una assemblea dove non vedo rappresentata la porzione dei giovani”. In definitiva, “Un momento di rottura nelle nostre abitudini è opportuno, con il messale che richiama l’intera assemblea alla consapevolezza di ciò che celebra”.
“Il messale è una sorta di canovaccio. – fa notare Don Alberto Pronti – Con la voglia – legittima – di unificare la liturgia, Si corre il rischio di cadere nell’appiattimento della celebrazione.
Negli ultimi deceni si è assistito a grande interesse per la liturgia della parola, un afflato mancato per la comprensione del Messale. Questa nuova edizione potrebbe essere l’occasione per riconsegnare nelle mani dell’assemblea uno strumento di preghiera capace di generare il desiderio di celebrare in assemblea”.
Se la sezione canti stupisce, lascia invece un po’ di amarezza “non aver preso considerazione la frazio panis: l’ostia anche letteralmente significa parte di un pane più grande. Se si potesse favorire un modo di celebrare insieme, in cui visibilmente il segno – il corpo e il sangue di Cristo – richiama qualcosa di vitale, sarebbe oltremodo importante”.
E il ‘non abbandonarci alla tentazione? “Sentirlo proclamare in comunità genera un rinnovato desiderio di vivere la comunità. In Francia e in Spagna le traduzioni sono diverse: non lasciare che entriamo nella tentazione, non lasciarci cadere nella tentazione”.
“Il Messale è uno strumento e l’occasione per riscoprire un certo modo di celebrare e di stare insieme in assemblea. – avverte Manuel Semprini dell’Ufficio Liturgico diocesano – Al di là dei dubbi e delle perplessità che hanno accolto il suo arrivo, il Messale è un libro mastro che può educarci a vivere bene la messa, con la comunione in terra come in cielo”.
Per don Giuseppe Vaccarini, responsabile dell’Ufficio liturgico diocesano: “Il Messale è difficilmente leggibile, soprattutto per le persone più anziane, la partitura musicale inserita nel corpo del Messale è una vera novità.
L’augurio è che non ci soffermiamo sulla nuova edizione, ma che il Messale diventi un’opportunità per riflettere su come la riforma liturgica ci cambia, e come la liturgia può essere concretamente vissuta nel quotidiano”.