La recente notizia che la Regione Emilia Romagna ha abolito la legge n. 45 del 7.11.1994, che dettava norme per la salvaguardia dei dialetti dell’Emilia Romagna, ci ha sorpresi e costernati, come bene espresso dall’articolo di Paolo Guiducci su il Pontedel 26 gennaio.
Ricordo che io ebbi l’onore e il piacere di essere stato invitato, insieme con l’amico commediografo e poeta riminese Guido Lucchini, ad una riunione organizzata poco tempo dopo dalla Provincia di Rimini alla quale parteciparono gli assessori alla cultura del circondario. Riunione che venne coordinata dallo studioso, scrittore e poeta Giuseppe Bellosi. Lo scopo era quello di discutere sulle iniziative da intraprendere per rendere esecutive le disposizioni di quella gradita legge.
Ora pare che il motivo valido per la sua abolizione, sia stato il fatto che tale legge sia risultata per molti anni inoperosa. Tutto ciò è naturalmente criticabile, perché chi avrebbe dovuto sostenere soprattutto economicamente le iniziative (opere teatrali, letterarie, poetiche, nelle scuole…) non lo ha fatto. Prescindendo dal lato economico mi sembra che anche chi doveva per delega seguire le reali esecuzioni, il controllo e la diffusione di tali iniziative, Università, Province e Comuni, non abbia avuto la possibilità o la volontà di attivarsi. Sarebbe come se oggi, pur riconoscendo la necessità e l’utilità dell’inglese, venisse emanata una legge che abolisse la lingua italiana.
Più che le mie modeste osservazioni, mi sembra molto significativo riportare ciò che disse a il Resto del Carlino il 30.8.2001 lo studioso Claude Haugere, uno dei più rinomati linguisti del mondo, alla domanda: Perché la morte di una lingua dovrebbe essere considerata una catastrofe? Rispose: “In molte lingue africane non ci sono parole come ’frutto’ o ’pesce’. In ebraico manca il verbo ’avere’; in una lingua diffusa fra le tribù indiane della California settentrionale ci sono cinque modi diversi di dire ’correre’. Se in tutto il mondo si parlasse solo l’inglese, i concetti propri delle altre lingue andrebbero perduti. Nelle strutture e nelle regole grammaticali di ogni lingua si riflettono alcuni principi fondamentali dell’esperienza umana, i costumi e il modo di vivere di chi lo parla: generazioni intere vi hanno lasciato le loro tracce. Ecco perché quando una lingua muore, di lì a poco scompare anche la cultura di cui era espressione lasciando un vuoto incolmabile nel genoma culturale della specie umana”. Non credo sia necessario aggiungere altro in proposito.
Amos Piccini