L’antico adagio “al peggio non c’è mai fine”, sembra recitato apposta per questo tema. Se non fosse che si tratta di un argomento essenziale per la vita di un Paese, ci sarebbe quasi da ridere.
Il record negativo di nascite dall’Unità d’Italia registrato nel 2018 è di nuovo superato dai dati del 2019: gli iscritti in anagrafe per nascita sono appena 420.170, con una diminuzione di oltre 19 mila unità sul 2018 (-4,5%). È l’Istituto nazionale di Statistica a segnalarlo impietosamente. E il calo si registra in tutte le ripartizioni, ma è più accentuato al Centro (-6,5%).
Negli ultimi anni si assiste anche a una progressiva diminuzione del numero di stranieri nati in Italia, così che il contributo all’incremento delle nascite fornito dalle donne straniere, registrato a partire dagli anni duemila, sta di anno in anno riducendosi. Nel 2019 il numero di stranieri nati in Italia è pari a 62.944 (il 15% del totale dei nati), con un calo di 2.500 unità rispetto al 2018 (-3,8%).
Il peso percentuale delle nascite di bambini stranieri sul totale dei nati è maggiore nelle regioni dove la presenza straniera è più diffusa e radicata: nel Nord-ovest (21,1%) e nel Nord-est (21,2%). Un quarto dei nati in Emilia-Romagna è straniero (25,0%), in Sardegna solo il 4,3%. Il tasso di natalità del complesso della popolazione residente è pari al 7,0 per mille. Il primato è detenuto dalla provincia autonoma di Bolzano (9,9 per mille) mentre i valori più bassi si rilevano in Liguria (5,7 per mille) e in Sardegna (5,4 per mille).
L’Emilia-Romagna si “consola” anche un altro dato: un incremento della popolazione dello +0,09%. Rimini però non può sorridere: ai 1.069 nati del 2018, hanno fatto riscontro i 1.028 dell’anno successivo, a fronte di 1.566 morti. Il saldo è impetoso: -497 nati, che sarebbero più degli abitanti dell’intero comune di Casteldelci.
I fattori strutturali che negli ultimi anni hanno contribuito al calo delle nascite sono noti e si identificano nella progressiva riduzione della popolazione italiana in età feconda, costituita da generazioni sempre meno numerose alla nascita – a causa della denatalità osservata a partire dalla seconda metà degli anni Settanta – non più incrementate dall’ingresso di consistenti contingenti di giovani immigrati.
“Se il tempo della diagnosi è finito, la terapia fatica comunque ad avviarsi” avverte il presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo. Al crollo delle nascite (una diminuzione di oltre 19.000 unità) vanno sommate anche le 182.000 cancellazioni di cittadini che hanno salutato il BelPaese per accasarsi altrove.
La fotografia che ne deriva è quella di un Paese che invecchia sempre più, e in maniera impietosa. “Un Paese non può continuare a credere di avere un futuro se conta, come dicono i dati odierni, su un flusso di tre morti ogni due nati” rileva Blangiardo.
La sua lucida analisi non trova però corrispondenza. Davanti ai dati implacabili offerti dall’Istat, ci si aspetterebbe un intervento da parte del Governo per adottare misure in grado di invertire una rotta che rischia di portare alla deriva la barca Italia. Invece assistiamo, a livello centrale e a caduta in quello locale, a poco e niente, come i provvedimenti che sanno tanto di elemosina e poco di avveduto e di sguardo a lunga gittata.
Il reddito di cittadinanza e quota 100 che tanto baillamme hanno suscitato, sono state ad esempio due misure che “non tengono conto delle famiglie, della composizione del nucleo familiare, di chi ha figli e di chi lascia dietro di sé un’eredità non solo personale anche all’intera società” è il lucido commento del direttore del “Corriere Cesenate” Francesco Zanotti.
Nel sottoscrivere l’analisi, balza agli occhi e dà da pensare un altro dato. Il desiderio di avere figli in Italia resta fisso a 2, mentre le cifre parlano di un tasso di fecondità di 1,3 per donna. Perché questo scostamento? Perché un figlio alle nostre latitudini resta un fatto privato, costoso, quasi un lusso di cui tutto sommato si può fare a meno?
La cruda realtà dei numeri, non l’omelia di un ‘povero’ sacerdote di campagna, dice che non si può fare a meno della vita che nasce. Avanti così il Paese cola a picco, e rischia di affrontare la pandemia del futuro senza neppure una speranza.
Parliamo tanto di Europa, guardiamoci attorno anche quando si può imparare da politiche familiari poderose e coraggiose (Germania e Francia, ad esempio). Padri e madri che ancora ci credono, si sposano e ci scommettono sopra lo meritano.
“Hanno compreso che la vita è un dono a cui rendere grazie, ridonandolo”. Lo meritano loro, lo merita il Paese.
L’approfondimento continua su ilPonte di domenica 30 agosto 2020. Puoi leggerlo anche sull’app