Grazie al premio Ilaria Alpi, per almeno vent’anni il nostro territorio è stato molto attento al tema dell’informazione nel mondo e il rapporto annuale di Reporter Senza Frontiere (RSF) si collocava in un humus complessivo e puntuale, che produceva anche buoni frutti.
I più maturi lettori de ilPonte ricorderanno anche la campagna – 2000-2001 – che il nostro settimanale promosse, con successo, raccogliendo migliaia di firme, per liberare Nizar Nayyuf, giornalista siriano in carcere per il suo impegno in favore dei diritti civili. Proprio nei giorni scorsi è uscito il nuovo rapporto di RSF che ci ricorda che anche quest’anno sono stati 49 i giornalisti uccisi nel mondo, 46 uomini e 3 donne.
Le morti, in verità, sono solo la punta dell’iceberg di un’emergenza incredibile, perché testimonia la presenza di Paesi dove raccontare certe verità ha costi pesanti. Se, rispetto al 2018, le morti sono diminuite, il numero dei giornalisti reclusi nel mondo è di 389, con una crescita del 12% rispetto al 2018: un dato “particolarmente preoccupante”, scrive RSF nel report. È l’Africa il continente più pericoloso, un sesto dei giornalisti uccisi vi è originario, ma anche per quelli che sono reclusi, “molti dei quali senza neanche conoscere le accuse mosse nei loro confronti”.
Egitto e Somalia (la più pericolosa) i paesi maggiormente interessati. Sono poi aumentate le reclusioni legate a movimenti di protesta, come rivelano i casi di Hong Kong, Cile e Bolivia, dove la repressione dei movimenti di dissenso è esplicita e violenta.
Impressionante notare come quasi la metà dei giornalisti dietro le sbarre sia reclusa in tre sole nazioni (tutte in “pace”): Egitto, Arabia Saudita e Cina. Con 14 morti, l’America Latina, il Messico in primo luogo, rasenta un tasso di mortalità simile a quello del Medio Oriente, dove nonostante i conflitti in corso, sono diminuiti i morti. Per RSF stiamo assistendo al paradosso che sono più i morti assassinati in paesi dove non ci sono conflitti (59%) che in quelli dove c’è guerra: “Per i giornalisti, il confine tra paesi in guerra e in pace sta scomparendo.
Mentre cogliamo con favore il calo del numero di giornalisti uccisi nelle zone di conflitto, notiamo anche che sempre più giornalisti vengono consapevolmente uccisi per il loro lavoro nei paesi democratici, il che costituisce una vera sfida per le democrazie da cui provengono questi giornalisti”. E questo va detto per rispetto di chi ogni giorno rischia la vita per raccontare la verità, alla faccia di quei giornalisti impegnati nel diffondere cattiva informazione, notizie false e propaganda.