L’alta moda uccide il made in Italy Occorre tutelare e salvare il comparto calzaturiero di San Mauro Pascoli e del Rubicone, conservandogli quel prezioso marchio che si è conquistato nel mondo intero. La richiesta arriva dai responsabili della Cna Piergiorgio Matassoni e della Confartigianato Bruno Dellamotta. Il problema si trascina da tempo ed è esploso dopo la puntata di Report su Rai 3 del 18 maggio scorso. La trasmissione, infatti, ha riportato un episodio, che conferma tutta la gravità della crisi che il comparto calzaturiero locale affronta e che si può, tra le altre cose, ricondurre all’attività di delocalizzazione produttiva.
dentikit di un settore
La trasmissione di approfondimento giornalistico di Milena Gabanelli, ha descritto un settore qualificato, frutto dell’esperienza di decenni, che viene coscientemente e capillarmente distrutto, azione dopo azione, da alcuni incoscienti operatori del settore. In pratica, paradossalmente, il made in Italy trova i più accaniti nemici fra coloro che dovrebbero difenderlo a spada tratta, perché di questo marchio si fanno paladini e promotori nel mondo.
Cosa sta accadendo?
“La realtà è spesso diversa da quella che viene venduta – affermano Matassoni e Dellamotta – È documentata in maniera chiara ed evidente, fatta di prodotti confezionati da aziende straniere o che lavorano in Italia senza rispettare le normative contrattuali e fiscali previste. Una realtà dove gli imprenditori locali sono scavalcati da una concorrenza sleale. Delocalizzare o commissionare il lavoro a chi non garantisce il rispetto delle regole è diventata prassi quotidiana”.
Come avviene il lavoro?
“Assistiamo giornalmente al ritiro di commesse alle nostre aziende a favore di chi riesce a garantire il lavoro dalla sera alla mattina a prezzi che non coprono neppure la retribuzione di chi quel lavoro lo compie. Una prospettiva che avrà come risultato nel medio-lungo periodo la chiusura della maggioranza delle aziende terziste del nostro territorio che da anni lavorano per le grandi griffe della moda. Una miopia industriale desolante. Bisogna fare più margine possibile. Tanto e subito”.
Nessuno fa nulla per proteggere il made in Italy?
“È il trionfo dell’ipocrisia, dell’indifferenza, dell’illegale sommerso, dove tutti sanno tutto e nessuno interviene e dove quello che spesso ci rimette è il consumatore finale in quanto il prezzo d’acquisto non subisce nessuna diminuzione per effetto della delocalizzazione”.
Cosa state facendo come associazioni?
“Non possiamo accettare passivamente che questo stato di cose prosegua nella totale indifferenza collettiva. Chiediamo una riflessione profonda a tutti gli attori del mercato. Alle amministrazioni locali affinchè si attivino contro il lavoro nero e l’abusivismo. Ai grandi marchi della moda di rivedere le logiche produttive attualmente perseguite. Ai cittadini di dimostrare attenzione al vero made in Italypremiando con i loro acquisti quelle aziende del comparto moda che fanno della tutela della tradizione artigiana una ragione di vita. Ci sorprende il totale silenzio su queste problematiche da parte dei sindacati dei lavoratori e delle amministrazioni locali”.
La proposta che fate?
“Istituire un tavolo di confronto per analizzare le tematiche denunciate ed elaborare ipotesi per eventuali rimedi. L’unica certezza allo stato attuale è che ci stiamo avvicinando al punto del non ritorno. Una volta scomparso il tessuto produttivo, una volta persa la capacità di fare un prodotto artigianale di alta qualità, non sarà facile invertire i processi attuali e a quel punto non ci saranno vicenti. Avremo perso tutti. Stiamo organizzando una raccolta di firme fra i nostri associati da inviare al presidente del consiglio Silvio Berlusconi, al ministro dello sviluppo economico Claudio Scajola e al sottosegretario allo sviluppo economico Adolfo Urso. E stiamo lavorando all’organizzazione di un convegno nazionale da farsi in autunno a San Mauro Pascoli sullo situazione della normativa per la tutela del made in Italy”.
Ermanno Pasolini